La unificazione e riunione del contado aquilano in un’unica grande città…

Gli originari abitanti di Cascina, trasferitisi in L’Aquila, ebbero a mantenere il godimento civico dell’antico loro demanio…

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

CASCINA, villaggio d’altura nel Comune di Cagnano Amiterno in provincia di L’Aquila, già feudo nel 1173, concorse, con altri castelli del contado, alla fondazione della città dell’Aquila. Territorio montano dell’Alto Aterno, a circa 20 Km nord-ovest da L’Aquila, si caratterizza a 1000 m. s l.m., da una paesaggio carsico e dalla plaga montuosa del gruppo del Monte Calvo che con un anfiteatro naturale di boschi, a nord-ovest, confina con la provincia di Rieti.

 

Sorgenti, inghiottitoio, boschi e la presenza della betulla, fanno di Cascina un’area naturalistica dalle marcate valenze ambientali, un ecosistema che dà continuità all’uomo, alla sua attività agricola e di allevamento depositata nella lunga gestione del territorio. Una continuità tra natura, uomo e storia che è “il luogo” dell’Abruzzo appenninico interno, dove anche il paesaggio fisico e della memoria di Cascina viene restituito sotto forma di ambiente, tradizione orale, cultura materiale: caratteri distintivi dell’esteso entroterra abruzzese.

 

Si hanno inoltre notizie di Cascina o Cassina o Classina quale feudo, già nel 1173, del barone di Preturo o Forcella, insieme alle ville di Palarzano e Cafrea presso Capo dell’Antella; e si può ipotizzare che il castello di Cascina tragga la sua origine dalla distruzione delle antiche città di Amiternum e Forcona, i cui abitanti si sparsero per tutte le terre del contado, formando comunità distinte e l’una dall’altre autonome. Disposta ed attuata verso gli originari abitanti di Cascina, trasferitisi in L’Aquila, ebbero a mantenere il godimento civico dell’antico loro demanio secolo XIII, se pure soltanto in parte, la unificazione e riunione del contado aquilano in un’unica, grande città, posta a difesa dei confini del Regno, il Casale di Cascina fu incorporato nei territori del distretto della città di L’Aquila. Avvenne, così, che gli originari abitanti di Cascina, costituiti dalla montagna omonima, nella loro nuova qualità di cittadini dell’Aquila, parteciparono, con propri funzionari, detti massari, al reggimento civico cittadino, secondo le norme statutarie del tempo. Tale situazione di cose è rappresentata ancora da molteplici documenti del secolo XV, in cui si attesta che gli originari o confocolieri di Cascina provvedevano alle nomine dei loro sindaci e massari in seno alla città e regolavano, per mezzo di questi, il godimento della montagna e la cessione delle “erbe”. Particolare cenno deve farsi al catasto onciario eseguito all’epoca di Ladislao (circa 1408), in cui è riportata l’università di Cascina, insieme a quella degli altri casali di Vicio e Guasto, Porcinaro ecc., nel quartiere di San Pietro all’Aquila. Ugualmente nei successivi catasti aquilani del secolo XVI, nello stesso quartiere è riportata l’università di Cascina, con l’intestazione, a suo nome, della montagna e del pasci-pascolo, goduto dai cittadini, sia pure facendosi cenno di una partecipazione del quarto a favore della famiglia Antonelli. Altri documenti dei secoli XVI, XVII, XVIII comprovano come l’università o collegio dei confocolieri di Cascina, stanziato in L’Aquila, continuò nel tempo l’amministrazione delle rendite della montagna. Fra gli altri documenti di tale periodo, è da ricordare l’atto per notar Paparisco dell’11 dicembre 1630, munito di assenso regio, con il quale la città dell’Aquila acquistò, dai massari del castello diruto di Cascina, per il prezzo di ducati 5.600, in conto del quale si assegnarono annui ducati 392 sulle gabelle, la montagna di Cascina con tutte le terre prative e sedive. Pochi anni dopo, cioè il 26 aprile 1636, per atto dello stesso notaio, la città dell’Aquila “retrocesse” la montagna dell’università; e cioè con patto che i confocolieri di Cascina non potessero ad altri venderla, né fare aggregazione alcuna alla loro università, ma la montagna stessa dovesse sempre rimanere negli oriundi e legittimi successori maschi, e, mancando questi, ricadere nel pieno dominio della città predetta, oltre a eventuali future aggregazioni. Ancora il catasto onciario aquilano del 1756, la università del castello diruto di Cascina figura iscritta per ducati 130, ricavati dall’affitto della montagna confinante con l’università della Forcella, Antrodoco, Cagnano e Borbona, e per la rendita di altre terre. Il testo che di seguito si presenta, scritto nel 1277 da Padre Ugone di Pescocostanzo, documenta nella piana di Cascina la presenza del francescano Tommaso, vissuto tra il XIV e il XV secolo.

” … Fra Tommaso, chiamato volgarmente, allorché vivea, Maso o Mascio nacque a Cascina, terra già da gran tempo distrutta, pure alla detta parte, e ad un venti chilometri da Aquila. Laddove che sia invece di Cascina, cel dice la seguente iscrizione intorno al fronte dell’urna, in cui si conservano le sue reliquie: Ossa B. Massii de Cascina de Aquila…”.

 

Il lavoro, la memoria

“La cultura degli oggetti” di Vincenzo Battista e Lorenzo Nanni -1984, Consiglio Regionale dell’Abruzzo, Cascina 1983.

Tradizione orale. “Qui a Cascina, siamo a 1110 metri di altezza, le terre, come semina, rendono poco. Con un quintale di grano ne puoi fare 6, 7, 8 … Paga il seme, paga l’aratura e la fresatura… seminarlo, concimarlo, mieterlo e poi portarlo al paese, non ti resta niente, non conviene. io ne faccio un poco, perché ho parecchie bestie: trecento pecore, una trentina di vacche; mi rendono di più le bestie. Faccio un paio di cento quintali di grano e orzo, altra roba qui non si può metterla. Duecento quintali di grano a trentamila lire fanno sei milioni, se ci levi le spese … Il governo ha dato i soldi ai contadini per comprare gli attrezzi ma ancora dobbiamo pagare le cambiali. Prima si coltivava tutto il terreno, non solo il piano ma anche la montagna; adesso in montagna non ci vanno nemmeno i trattori. Non sono redditizi, non conviene. La produzione è cambiata, la coltura è cambiata. Il grano oggi non serve per l’alimentazione nostra, si dà alle bestie. Se hai 50 quintali di grano, quaranta vanno alle bestie: orzo, grano e altri cereali”.