I racconti nell’Arca della memoria.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Sì, sono stati imbarcati, stipati, fluttuano nel mare che spesso ricopre “la storia e le storie minori” degli uomini, non hanno un rotta certa, ma sono stati salvati i racconti, dall’oblio, perché ora nessuno più potrà dimenticare i passaggi fondamentali di una piccola comunità, il suo archivio personale della memoria che finalmente si apre, si spalanca, come l’Arca giunta su un lembo di terra, per ricostruire i documenti di una narrazione collettiva, il paesaggio e le sue cose, che in qualche misura, forse in alcuni dei suoi tratti, finisce anche per appartenerci. La tradizione orale, nei luoghi e nei tempi della fine dell’Ottocento del piccolo borgo rurale dove la vita degli uomini, l’economia e persino la natura, aspra e improduttiva, appartenevano a pochi “eletti”. I “racconti”, ma anche gli squarci per leggere una “storia altra”, i passanti della memoria collettiva per comprenderne le sorprendenti rilevazioni strette e chiuse dentro il perimetro spesso invalicabile delle storie personali ed ora aperte per una riflessione sulle identità locali, i patrimoni della narrazione appunto, che concorrono a ricostruire il tessuto sociale di quotidianità, eventi, tanto importanti per le culture locali da entrare, anche se recentemente nel nostro Paese, nella galassia dei Beni culturali da riscoprire e tutelare; vivono a fianco della Storia ufficiale, sono definite le “micro storie” che svelano una dimensione sociale inimmaginabile. “… Riproponetevi con Brecht questa domanda – ha scritto in una delle sue ultime apparizioni nell’aquilano Alfonso Maria Di Nola (testo di presentazione al libro “La terra dello zafferano”, di Vincenzo Battista). Chi ha fatto le piramidi? Non le hanno fatte i faraoni, ma milioni di schiavi che sono morti per costruirle. Chi ha aperto l’Istmo di Corinto? E chi ha costruito il Colosseo? La storia vera è la storia delle grandi folle di umili. E sono questi gli uomini che hanno costruito il tempo, e sono questi gli uomini che noi dobbiamo salutare come quelli che ci fanno esistere… Queste parole, spesso semplici di narrati orali, sono parole pesanti come pietre…”.