Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Quando abbiamo forato le nuvole con il biposto Partenavia P.66 pilotato da Giorgio Zecca, l’aereo sembrava che sfiorasse le guglie, gli enormi dirupi, gli aspri valloni, i picchi carsici, i balzi avvolti dalla neve e dal ghiaccio del versante nord-est del massiccio del Monte Sirente ( m. 2341 s.l.m.).

Sorvoliamo una delle aree più esclusive del parco regionale del Sirente-Velino. Restiamo impressionati dal paesaggio inaspettato e dallo stupore della luce radente la montagna. Nessuno di noi due si aspettava di osservare questo imponente spettacolo della natura, rivelato improvvisamente, quando siamo partiti dall’aeroporto dell’Aquila, direzione sud-sudovest, sotto una coltre di nebbia, per effettuare una ricognizione sulla montagna del Sirente, in particolare sull’antico ghiacciaio, e individuare la neviera di “Valle Serrata”, così chiamata dalla comunità locale di Secinaro, comune alle pendici del Sirente, che avrei raggiunto in trekking, in diverse escursioni, all’inizio dell’estate del 1995 nel 1996 e nel 1997.

Il Sirente: una lunga massa dolomitica che si estende per circa 12 km nel versante nord-est, dai nomi avvolti dal mistero: canalone Scurribile, valle Lupara, Peschio Fracido, Inserrata, Majori che scendono fino alla grande fascia boschiva di faggio che sembra abbracciare la montagna.

Sorvoliamo le imponenti pareti che evidenziano le nicchie di antichi ghiacciai, mentre cerchiamo il sito della neviera, localizzata a quota 2000 metri, tra le creste e le cuspidi delle sue innumerevoli vette che scendono sui due versanti dissimili: a nord-est la montagna ha una parete di circa 700 metri che precipita fino alle aree geografiche della Media Valle dell’Aterno e la Valle Subequana; a sud ovest, con una lunga gobba, scende fino al grande bacino dell’area geografica del Fucino.

Continua la ricognizione, con una lunga virata cerchiamo l’allineamento con il massiccio nonostante il vento di vetta, fortissimo, scuota l’aereo e io, con il corpo fuori dal finestrino del velivolo, per fotografare, inizio ad accusare, nonostante le protezioni, un principio di congelamento alle mani.

Scendiamo con una manovra sotto la quota del massiccio del Sirente. Le profonde incisioni che osserviamo sono state determinate dall’azione dei ghiacci dell’ultima glaciazione pleistocenica. Le pareti mostrano l’erosione su cui per milioni di anni hanno lavorato gli agenti atmosferici. Sorvoliamo le cence ghiaiose avvolte dalla neve che corrispondono agli strati più friabili, mentre i massicci torrioni, gli strati più duri, resistono maggiormente all’erosione.

La nebbia che avvolgeva il Sirente si è diramata, puntiamo verso il centro di Secinaro, il borgo più alto alle pendici della grande montagna e “cuore” del Sirente. Sorvoliamo il centro storico di Secinaro e il massiccio del Sirente. Su un contrafforte montuoso che culmina con il “poggio” dove era ubicato nel medioevo l’antico castello di Secinaro a cui è stata sovrapposta secoli dopo la chiesa di S. Nicola, il paese tutto intorno domina la valle Subequana. Le strade cordonate in pietra di selce permettevano il passaggio dei muli dal centro abitato alla “Via della Valle”, per proseguire fino a “Sacco Sirente” località raggiunta dopo due ore di cammino, dove i mulattieri potevano tagliare e caricare la legna sugli animali o il ghiaccio della neviera del Sirente. Da Secinaro e anche da Gagliano Aterno, partivano, quindi, con i muli, i “cavatori del ghiaccio“, attraversavano dopo circa tre ore anche la fascia boschiva del Sirente e infine dovevano risalire l’impervio sentiero aperto appositamente nel canalone (brecciaio) della neviera fino al suo sito, a 2000 metri, dove iniziavano il taglio dei blocchi di ghiaccio.

A Secinaro ho incontrato Luigino Barbati, impiegato del Comune che con i fratelli Sandro e Mario conduce un’attività imprenditoriale sul turismo locale. E lì a Secinaro, grazie allo loro ospitalità, che ho creato una sorta di campo base per le rilevazioni e le numerose ricognizioni in trekking del paesaggio naturale del massiccio del Sirente. La dimensione della montagna del Sirente, la sua grandezza, ci sovrasta, mentre in trekking ci muoviamo dentro il fitto bosco, alle pendici delle pareti rocciose, dentro le aspre gole e le depressioni del terreno che un tempo era segnato dalle mulattiere.

Guardiamo i resti di un sentiero che la folta vegetazione del bosco si è “ripreso”; perfino le rocce affioranti sono state tagliate per consentire il passaggio dei muli e dei carichi di legna, carbone vegetale, ghiaccio. E’ primavera inoltrata, le lingue di neve nel versante nord del Sirente ancora resistono grazie alle basse temperature e ai raggi del sole che non possono raggiungerle in questa stagione. Le gemme delle piante di faggio in poche settimane sono fiorite: il bosco inizia così un nuovo ciclo.

La fotografia del Sirente è stata scattata dalla località “Piano di Jano“, un lungo altopiano che accoglie il villaggio delle “Pagliare di Tione”, posto all’interno del parco regionale Sirente-Velino che ha un’estensione di circa 60.000 ettari, 20.000 in più rispetto al più famoso Parco Nazionale D’Abruzzo L. e M. Il territorio del Sirente – Velino confina a sud con la Piana del Fucino, ad ovest con il Lazio e a nord – nord – est con la Valle dell’Aterno. Nel perimetro del parco sono compresi L’Altopiano delle Rocche, la Media valle dell’ Aterno, la Valle Subequana e la Marsica meridionale, tutte zone con ampie diversificazioni storico-culturali ed ambientali.

Il pascolo nei “Prati” del Sirente, chiamati “Prati Canale” dove si raccolgono le acque che danno origine ad un piccolo lago. Il massiccio del Sirente con le valli e i canaloni creati dagli antichi ghiacciai, hanno dato corso a cinque importanti brecciai come valle Inserrata o Canale Majori, valle Lupara, valle Neviera, il canalone di S.Vincenzo e monte Canale che scendono fino ai boschi che a loro volta rivestono un’area che va dai 1100 metri di quota fino i 1800 metri.

Usciamo dal bosco, ci muoviamo nei piani carsici dove incontriamo le mandrie di cavalli e mucche. Una di queste presenta sulla testa un ferro, chiamato “le frocette: la nasiera” che impedisce l’allattamento del vitello. In questa area, ci dice un allevatore, fino agli anni ’70 pascolavano anche gli ovini.

La sommità del massiccio del Sirente, i numerosi rilievi della montagna. Camminiamo da diverse ore, percorriamo in trekking le cime del Sirente che a diverse quote si susseguono; ci spingiamo fino al labbro dei canaloni, un tempo siti di antichissimi circhi glaciali. Cerchiamo il brecciaio e quindi la valle della neviera.

La nebbia inizia a salire dalla parete nord del Sirente; dobbiamo trovare un passaggio, un varco, per scendere dentro il canalone e superare il dislivello di circa 600 metri e quindi arrivare alla neviera. Ecco la neviera del Sirente, raggiunta dopo molte ore di cammino. La descrizione del luogo coincide con gli antichi carteggi ritrovati nell’archivio storico di Secinaro, datati 1874, dove si illustra la “Valle Serrata”, una stretta valle, racchiusa, e circoscritta da balze rocciose a picco con un’altezza di circa 500 metri. La lunghezza della valle diventata un immenso brecciaio per il materiale detritico che si è accumulato nel corso dei secoli fino al limite del bosco è di 500 metri, mentre la sua larghezza è di 200 metri. Alla sommità della valle, la neviera, sotto una parete, ci impressiona, perché scarica di continuo, con i cambiamenti di temperatura, forte brecciame e blocchi di roccia che nel tempo hanno formato una gobba che protegge la neviera dal sole, dai venti. Esposta a nord, fa sì che il ghiaccio resista nei mesi estivi per essere tagliato e portato a valle dalle carovane di muli. La neviera del Sirente: una lunga lingua di ghiaccio di 55 metri e larga 6, incassata tra la parete verticale e un profondo fosso.

Ci muoviamo con molta attenzione. Preceduti da un rumore che sembra un crepitare di armi da sparo, la montagna scarica con una potenza inaudita pietre e brecciame. Ci dobbiamo appoggiare alla parete per trovare riparo ed evitare di essere colpiti.

Torniamo ancora sulla neviera del Sirente. Questa volta con Luigino Barbati e un anziano tagliatore del ghiaccio, nato a Secinaro. Dal fronte del ghiacciaio inizia il taglio, con un’ascia. I blocchi devono essere tutti uguali, di 50, 60 chili ciascuno. ll mulo può caricare, fino a circa due quintali di ghiaccio, ma bilanciato per bene, ai lati sul “basto” dell’animale. Bisogna fare in fretta, non possiamo restare molto tempo sotto la parete perché scende pietrame. Il blocco di ghiaccio doveva essere lavorato, rifinito per bene, stessa “pezzatura” per portarlo negli ospedali, nei mercati, alla casa dei ricchi signori… La temperatura è scesa, fa molto freddo. Il lavoro di estrazione del blocco viene aiutato anche con diversi utensili in ferro. I blocchi di ghiaccio venivano rivestiti con la polvere di pula (la polvere della trebbiatura) e uno strato di foglie secche di faggio e poi avvolti da un sacco. Questa era una sorta di coibentazione termica che permetteva la conservazione del 50% del prodotto durante il lungo tragitto fino alla consegna del prodotto. Il ghiaccio si misurava in “salme”, che corrispondeva circa ad un quintale di peso. I cavatori del ghiaccio raccontano che battevano le asce sulla pietra per far volare “le ciaule”, le cornacchie, che si posano sulla parete chiamata “il peschio”, perché potevano causare vere e proprie frane. Si partiva di notte da Secinaro per trovarsi all’alba nella neviera, lavorare il ghiaccio e poi partire con i muli anche per le Puglie, il Lazio, nelle città della costa Abruzzese, viaggiare tutto il giorno e di nuovo, la notte, consegnare la merce. Il sacco, con dentro i blocchi di ghiaccio, si chiudeva con i “tortelli”: un sistema di legatura che non utilizza le corde ma bensì piccoli bastoni in legno per comprimere la “bocca” dell’involto di tela.

Guardando la neviera, qui a 2000 metri, possiamo leggere gli strati del ghiaccio che hanno colori diversi, epoche diverse che si sono sovrapposte. Le incessanti richieste di approvvigionamento del ghiaccio nei centri urbani, portarono l’Amministrazione di Secinaro alla realizzazione di un regime municipale di appalto. Il monopolio del rifornimento urbano era concesso agli imprenditori. I locali, tuttavia, i cavatori di Secinaro, potevano tagliare ed estrarre il ghiaccio. Con l’introduzione dei moderni sistemi di refrigerazione si assiste, poi, al declino di questa attività di cultura materiale del Sirente. Il ghiaccio della neviera si ritira: emergono vecchi utensili e manufatti utilizzati nelle epoche passate per scavare le trincee, delimitare i tagli, le cosiddette “salme” di ghiaccio, misurare i “banchi” da tagliare e trasportare a valle.

Mentre ispezioniamo il sito della neviera, guardiamo questi oggetti che ci trasmettono una testimonianza che sembra non avere tempo ma che tuttavia ha concorso a creare una fonte di reddito, un’economia di sussistenza. Nel lungo viaggio verso la neviera, con l’estrazione del ghiaccio portato dai muli, a volte questi cadevano lungo il brecciaio. Poi dentro il bosco si incontravano gli uomini addetti alla lavorazione delle carbonaie, i tagliatori, i mulattieri. Infine, dopo aver ridisceso la montagna del Sirente, visitiamo un edificio particolare: una costruzione adibita a deposito del ghiaccio. La pietra è l’elemento principale dell’edificio ipogeo costruito nei pressi dell’abitato di Goriano Sicoli, nella contrada chiamata “neviera”, ai bordi dell’antico tratturo Celano – Foggia che entrava, con il suo tracciato, dentro l’abitato di Goriano. Con la volta a botte, l’edificio, nel sottosuolo è rivestito in malta e pietre con piccoli fori di aereazione. Il ghiaccio depositato con le carovane di muli veniva inviato, spesso attraverso lo stesso tratturo, nei mercati dell’Italia centro – meridionale.

 

Testo Piera Badia

When we came out of the clouds in our two-seat Partenavia P.66, me and pilot Giorgio Zecca, it looked like the plane would almost touch the pinnacles, the deep abyss, the rugged valleys, the carsick peaks, the tops covered in snow and ice on the North-Western side of Mount Sirente (2341 m. above sea level, over 7,000 feet). We were flying above one of the most hidden areas of the Sirente – Velino regional park. We were astounded in front of that unexpected landscape, and by the light coming along the sides of the mountain. Neither of us was expecting such an imposing natural view, not so suddenly, when we took off from the airport of L’Aquila, due South – South-West, in a thick fog, to perform an exploration of the Sirente mountain, especially of the ancient glacier, and locate the neviera (perennial snow-field) at ” Valle Serrata”, as it is called by the people of Secinaro, a municipality at the foot of the Sirente, where I was to go on a number of trekking excursions from the early summer 1995, in 1996 and again in 1997.

The Sirente: a long, dolomite-like massif spanning for over 12 km along the North-western side, with names of mysterious origin: canalone Scurribile, valle Lupara, Peschio Fracido, Inserrata, Majori, coming down to the wide forested areas embracing the mountain below. We fly over the majestic rock walls, where the sites of pristine glaciers can be seen, while searching for the neviera, located at an altitude of 2000 meters, among the crests and the many peaks down along the two so different sides: in the north-west the mountain drops for 700 meters down to the Middle Aterno and the Subequana Valley; to the South-West, with a long curve, slopes gently to the wide Fucino area. The exploration continues, with a wide turning we try to fly parallel to the massif, in spite of a powerful front wind from the mountain top that shakes the plane; while leaning out of the plane window to take photographs, in spite of warm protections, my hands start freezing.

We fly downward to an altitude below the top of the Sirente. The deep scars were made by glaciers during the last Pleistocene glaciation. The rock walls show the erosion caused through millions of years by the weather. We fly above gravelly “cence” covered in snow, where the soil is more brittle, whereas the sturdy rock towers are harder and more resistant to erosion. The fog enveloping the Sirente clears, and we aim at the town of Secinaro, the highest settlement at the foot of the great mountain, and the heart, so to say, of the Sirente.

We fly over the historical town of Secinaro and the Sirente mountain. On top of a mountain crest where the “poggio” rises, on the spot where in the Middle Ages there was the ancient castle of Secinaro, and centuries later the church of San Nicola was built; the village dominates the whole Subequana valley. The roads with inserted rows of flintstones allowed the easy passage of the mules from the living quarters through the “Via della Valle” towards the spot called “Sacco Sirente”, which was reached after two hours, and where the mule owners were able to load the mules with timber or the Sirente ice.

From Secinaro and also from Gagliano Aterno the ice workers left with their mules, employing up to three hours to get out of the woods and finally had to climb up the steep path opened to that purpose along the gravelly gully (brecciaio) up to the neviera site, at an altitude of 2000 meters, where they started to cut ice blocks. In Secinaro I met Luigino Barbati, a Townhall employee whomanages with brothers Sandro and Mario a tourist resort in the area. And it is in Secinaro that I was their guest and established a kind of base camp for the many trekking explorations of the natural landscape of the Sirente range.

The majestic Sirente mountain hovers above us, while we trek through the thick forest, at the foot of the rocky walls, inside the rugged canyons and the terrain depressions that were once mule paths. We observe the trace of an ancient path now almost covered by the vegetation that “reclaimed it”; even the surface rocks were sawed to allow the passage of the mules loaded with firewood, charcoal and ice. We are well advanced into the spring season, but some snow streaks still persist along the Northern Sirente side, owing to the low temperatures and the sun position at this time of the year, that does not allow the sun rays to reach the area. The buds of the beech-trees have blossomed in just a few weeks: a new life cycle starts in the forest.

This Sirente photo was taken in the area called “Piano di Jano”, a long plateau where the hamlet of “Pagliare di Tione” is located, inside the Sirente – Velino regional park, extending for over 60,000 hectares, 20,000 more than the better known Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio and Molise. The territory of the Sirente – Velino Park borders the Fucino Plain to the South, Latium to the west, and the Aterno valley to the North and North-West. It includes the Altopiano delle Rocche, the Middle Aterno Valley, the Valle Subequana and Southern Marsica, areas of great historical, cultural and environmental diversity.

The pastures high up in the Sirente meadows called “Prati Canale” where waters are collected giving origin to a small lake. The Sirente range, with its valleys and canals created by ancient glaciers, includes five important gravelly canals (“brecciai”): Valle Inserrata or Canale Majori, Valle Lupara, Valle Neviera, the Canalone of San Vincenzo and Monte Canale, coming down to the forests, which in their turn cover an area from an altitude of 1100 to 1800 meters. We leave the forest and proceed along the carsick plains, where groups of horses and cows are grazing. One of the cows has on its head an iron gadget, called “frocette” or “nasiera”, which forbids nursing. In this area, a breeder tells us, until the 1970’s also sheep were grazing.

This is the summit of the Sirente range, with its many peaks. We have been walking for hours, and now we are trekking among the peaks following one another at different heights; we go as far as the borders of the canals, once the sites of very ancient glacier circles. We are searching for the brecciaio and with it, the neviera valley. Fog starts rising from the Northern Sirente wall; we must find a passage, an opening to get down into the canal, climb down of an altitude of around 600 meters and reach the neviera site.

Here is the Sirente neviera, which we finally reach after many hours’ trekking. The site description corresponds to the reports in the ancient papers in the 1874 historical archive of Secinaro, where the “Valle Serrata” is described, a narrow valley enclosed by steep rocky walls 500 meters high. The valley throughout is a wide gravelly area (“brecciaia”) owing to the debris piled up in the centuries as far as the forest border, for a length of 500 meters and a width of 200. At the highest point in the valley the “neviera”, just below a rocky wall, is really impressing, as it is always discharging, as temperature changes, coarse gravel and rocks, which have slowly formed a hump protecting the neviera from the sun and winds. Its position to the north keeps the ice there also in the summer months, so that it can be cut and taken down to the valley by convoys of mules.

The Sirente neviera: a stream of ice 55 meters long, 6 meters wide, located between a vertical rock wall and a deep ditch. We have to move very carefully. With a threatening noise similar to gunshots the mountain discharges debris and rocks with astounding force. We have to lean against the rock wall for shelter, to avoid being hit.

We are back to the Sirente neviera. This time in the company of Luigino Barbati and an elderly ice worker, born in Secinaro. From the glacier’s front cutting begins with an axe. The ice blocks must be all the same size, of about 50-60 kg each. The mule can carry up to 200 kg ice, but only if well balanced, on both sides of the animal’s pack-saddles. We have to be fast, we cannot stay below the rocky wall for too long because of the debris falling down. The ice block must be well worked and smoothed, all blocks in the same form and size, to be delivered to hospitals, markets, rich mansions… Temperature is dropping, it is freezing cold. The ice extraction is performed also with a number of different iron tools.

The ice blocks are covered with “pula” (pula is the powder left from threshing) and then a layer of dry beech leaves and finally enclosed in a sack. This was a kind of heat isolation allowing to maintain about 50% of the product during the long journey to the delivery sites. The ice was measured in “salme”, corresponding to about 100 kg. The ice workers tell how they hit with their axes on the ice, to drive away the “ciaule” (crows) who flew down and stopped on the rock wall called “peschio”, since they might cause real landslides. They would leave Secinaro in the night, so that at dawn they were at the neviera, began to work the ice and then left directly for Apulia, Latium, the towns of the Abruzzese coast, traveling with their mules all day and the following night to finally deliver their shipment.

The sack containing an ice block was closed with the “tortelli”: a method of tying not with ropes but small wooden sticks to press the “mouth” of the cloth container. Looking at the neviera, here at an altitude of 2000 meters, we can read in the different colors of the ice layers the different epochs one over the other. The never-ending requests for ice supply coming from the cities compelled the Secinaro Administration to establish a municipal system of bidding contracts. The monopoly of the supply to cities was granted to entrepreneurs, however local people were allowed to cut and extract ice on their own. When modern refrigeration systems came into common use this activity typical of Sirente ancestral culture went into oblivion.

The neviera ice is here retreating, leaving old tools and instruments used in the past to dig ditches, draw signs for the cutting – the so called “salme” of ice, to measure the “banchi” (=sections) to cut for transport to the valley. While we examine the neviera site, we see these tools, silent witnesses of a timeless culture that gave these people a source of revenue, of basic survival. During the long journey to the neviera, or the ice extraction, these tools would sometimes fall and be lost along the gravelly path. Then inside the forest men would work on the charcoal production, felling trees, taking care of mules.

Here at last, after climbing down the Sirente mountain, we visit a very special building: an ice deposit. Stones are the basic building material of the underground construction in the vicinity of Goriano Sicoli, on a site called “neviera”, bordering the ancient Celano – Foggia “tratturo” which passed through the village of Goriano. This special building is an underground, barrel-vaulted cavity, lined with mortar and stone with small holes for airing. The ice downloaded off the mules was sent often along this very tratturo, to the markets of Central and Southern Italy.

 

 

sirente-13

 

 

sirente-18

 

 

sirente-6

 

 

sirente-1

 

 

sirente-9

 

 

sirente-3

 

 

sirente-10

 

 

sirente-16

 

 

sirente-21

 

 

sirente-2

 

 

sirente-19

 

 

sirente-11

 

 

sirente-14

 

 

sirente-7

 

 

sirente-22

 

 

sirente-20

 

 

sirente-15

 

 

sirente-12

 

 

sirente-17

 

 

sirente-7

 

 

sirente-8