Benvenuti nella Corte dei briganti. Il Chiarino, Gran Sasso d’Italia. I Prati della Corte e Colle dei Briganti.
Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Ma vi pare che siamo venuti qui per cercare una cassa in legno piena con i marenghi d’oro, seppellita tra i faggi secolari la cui mappa, per localizzarla, è stata prima incisa e lasciata su un fusto e poi strappata dalla corteccia dell’albero, per quanto possa, la tradizione orale – generosa, per molti fugace e blanda -, trovare una sua ragione, e magari quell’alone di verità tra le piante della foresta di questo lembo del Gran Sasso d’Italia. Qualcosa comunque è trapelato, poiché questi faggi, nella stessa mappa, disegnano una stella, e lì bisogna cercare. Il mistero: un ago nel pagliaio nello sconfinato bosco del Chiarino, estensione di 200 ettari solo nella provincia dell’Aquila. L’enigma resta, comunque resta, empirico, tra realtà e il mito dal sogno onirico, dal sapore eccitante del tesoro nascosto nel bosco del Chiarino per chi ancora oggi si aggira nei dintorni, ma non solo per cercare funghi e tartufi… I briganti, di questo parliamo, formazione eversiva preunitaria, e per l’intensità ribelle e rivoluzionaria – mai concepita nella storiografia dell’Ottocento – soprattutto postunitario del Mezzogiorno: contadini mossi da miseria e povertà, masse sociali abbandonate a se stesse e poi movimento anti piemontese, nato soprattutto dalla disarticolazione e soppressione del governo borbonico. I briganti ci avrebbero sentiti anche da così lontano mentre risaliamo il sentiero dal lago di Provvidenza, – si sarebbero alzati in piedi di scatto con lo schioppo in mano e sollevata poi la testa come per annusarci – se fossimo vissuti -, che so io, nella seconda metà dell’Ottocento (ora entriamo nel loro regno incontrastato del Chiarino e torniamo sui loro passi… nei toponimi Prati della Corte ( m.1498 ) e Colle dei Briganti (m.1525), il regno della leggenda senza mai fine e dei vincoli di giuramento nella notte del plenilunio). Ci avrebbero sentiti, forse il vento improvviso che ha mosso le fronde nel fondo del bosco per loro era un segnale; forse perché gli uccelli improvvisamente tacevano, pertanto, nell’immaginario collettivo i briganti, nel terrore delle genti dei villaggi, erano per metà animali – astuti e aggressivi come i cinghiali -, e la parte restante criminali, malfattori, tagliagole senza scrupoli e senza nulla da temere e da perdere, poiché i piemontesi gli avevano sottratto (prima contadini e quindi poi briganti) persino la libertà di muoversi entro certi territori, una nuova giurisdizione dell’Unità d’Italia nei loro confini agricoli e non oltre, e poi per noi era inutile utilizzare un salvacondotto che in quei tempi andava per la maggiore. Ma inservibile. Vivevano nella foresta con gli influssi malefici e i significati profondi e allo stesso tempo potentissimi di quel mondo oscuro da temere e scansare: il bosco fitto che inquieta, il malessere geografico denso di presagi (oggi il bosco si presenta con un taglio ceduo, il sottobosco è inesistente, ma nella repressione del brigantaggio per l’Arma dei Carabinieri Reali con gli uomini a cavallo lì era impenetrabile, non potevano accedere e muoversi con gli squadroni tra gli alberi. Solo appostamenti, imboscate, come vedremo). Dunque, la natura dei briganti, quasi in un processo di antropomorfizzazione dei predatori, una mutazione la loro, la maledizione della foresta del “diverso”. La teoria di M. E. Lombroso (1835 –1909), ne affermava i principi del manigoldo nei comportamenti delinquenziali, secondo il suo editto che ebbe grande eco, poi disegnati, fotografati, catalogati e schedati nei tratti dei volti, differivano dalle persone normali. Leggiamo alcuni stralci tratti dai documenti archivistici: “… Apparvero quattro briganti dell’età tutti in circa di trenta anni; tre di essi erano armati di doppietto, e l’altro di fucile a un colpo. Quest’ultimo aveva la barba rasa e rossa…Tra questi malviventi havvenne uno che presenta nell’occhio destro avanzato strabismo…di pelle da pastore; tutti con calzoni corti di panno bleu colorato, e parlano in dialetto, a quanto sembra dei naturali…” (Archivio di Stato, L’Aquila). Lombroso è stato un medico, antropologo, filosofo, giurista e criminologo. Esposti come fauna selvatica al pari dei lupari che per la questua giravano i borghi con i lupi appesi sul basto dei muli, da morti, fucilati, o dopo gli scontri a fuoco, i briganti erano sostenuti quasi in piedi per essere fotografati dai piemontesi, in funzione della propaganda contro l’eversione anti – unitaria. Si affina la strategia per assicurali alla giustizia, questo un brano: “Gran Comando del Dipartimento Militare di Napoli, sulla creazione di zona militari. 4 dicembre 1860. Al Signor Prefetto della Provincia Aquila. “Dall’attento esame suddetto ho potuto convincermi che in molte Province del territorio di questo Dipartimento il brigantaggio esclusivamente minuto e locale viene combattuto vantaggiosamente col sistema dei piccoli distaccamenti fra loro indipendenti, ciò riesce insufficiente al bisogno in quelle altre province ove il brigantaggio ha ancora un carattere politico = religioso, ed è argomento di grosse bande per lo spesso operanti e riunite…”. Massimo d’Azeglio, (politico, patriota, pittore e scrittore italiano (1798 – 1866), scrisse: «Si è fatta l’Italia senza averla mai studiata né conosciuta. Ora scontiamo noi l’ignoranza di Cavour delle varie parti della penisola. Voler agire su un Paese senza averlo neppure veduto». I briganti erano considerati anche il braccio armato del re Borbone e il mezzo per la riconquista del Regno delle Due Sicilie e pertanto, ecco la testimonianza di una vittima di una estorsione :“… il ricattato rivelò essere quella banda brigantesca parte di n° 15 individui, e che fra tale accozzaglia di furfanti evvi il Capo che parla, e porta un crocifisso al monco destro dalla giacca, con una piastra di argento mostrando effige di Ferdinando 2°, armato di fucile a due canne, e una pariglia di pistole a revolver…” ( Archivio di Stato, L’Aquila). Ma adesso il Chiarino, il bosco, ci avviciniamo ai Prati della Corte, alla radura luogo del conclave dei briganti, così l’epica leggendaria che ancora oggi non è scomparsa nella saga tra memoria e storia dell’Italia centro meridionale appenninica: i briganti razziavano gli stazzi: “…Ed ivi armati di fucile, come erano commettevano una grassazione, pigliando per forza una pecora…”(Archivio di Stato, L’Aquila). Lasciavano anche un biglietto di ricatto ( nelle immagini proposte i biglietti di ricatto – Archivio di Stato, L’Aquila) da far recapitare al massaro e poi all’armentario che conteneva le richieste di preziosi, indumenti e alimenti, e a volte, anche i ducati d’oro e d’argento del regno borbonico, altrimenti tagliavano l’orecchio prima al massaro e poi la testa al ricco armentario e la infilzavano in un palo, e poi toccava alla sua famiglia (qui la tradizione orale è cruenta nella sua narrazione). “Caro signor Pietro Mascio – un biglietto di ricatto – Adì 12 giugno 1866. Mandate 1000 piastre e 2 oriloggi di ore con lacci doppi di oro di Francia e 6 vestito e 10 camici e 10 paio mutando e 6 paio di calzatte e 10 fazolette di sete e 10 cappelli e 10 paio di polziano ( polsini) e 4 anelli e 4 ingerate e vidaro ( vi darò) quattro giorno di tempo altro mandate la spesi (la spesa) per domano con salmi di vini e 45 grazioni (razioni) di pane e 4 presutti e 4 paio di casiocavallo e 8 paio di scamorsi e 10 bottiglio di rosoia ( rosolio) e 4 bottiglio di rummo (rum) e 5 paccotto di tabacco e 4 mazzi di sicaria (sigari). Mancando un giorno secondo si ordino vi ammazzi tutte. Quando avete qui sotto firmate il capo delle truppe ammassi (ammassate) – a firma di Domenico Cannono (Sezione Archivio di Stato, Sulmona). Un altro biglietto di ricatto: “Al Signor Pietro Mascio. Mandami 1000 pezze 2 riloggi (orologi) con lacca (lacci) opro (oro) di francia 2 vestito, 2 cappotto 6 cappelli 10 fazzoletti di sete (seta) 10 camica (camicie)16 paia di calzette 6 paia di scarpe 2 barili di vino 20 bottiglie uno prosiutto (prosciutto) 30 rotolo di panno (rotoli) 3 paia di casicavallo (caciocavallo). Firmato da me Giuseppe Ferrara che ti do 4 giorni di tempo (Sezione Archivio di Stato, Sulmona). Ma queste testimonianze, ed è evidente, non è l’oleografia romantica, a volte ricorrente nel contesto di quel tempo, ossia l’accademico modello dei briganti disegnati per esempio da Filippo Cirelli che li ritraeva nelle pose garbate e nell’abbigliamento colorato e sgargiante con un’aurea di fascino, a ridosso proprio dei valichi di montagna. Non erano certo quelli del Chiarino, dove persino serpenti e scorpioni si tenevano alla larga dai loro accampamenti provvisori. Il terrore, quindi, diffuso. I briganti si muovevano rapidi e non lasciavano tracce anche dopo aver depredato capi ovini che venivano infilzati con uno spiedo e cotti al fuoco. I militi – in un documento – sono sulle tracce di un brigante che si è staccato dal gruppo di appartenenza: “… nonché pochi soldati dei 31-mo fanteria, si dirigeva dallo stazzo, ed all’approssimarsi ebbe veduto che un brigante in quella mandria avvicendarsi di fare a pezzi una pecora pe cuocerla; ma avvisato dal latrar dei cani, del nuovo giungere di persone, si dava a precipitosa fuga, spendendosi nel folto di quei burroni, ove fu inutile il ricercarlo…”. (Archivio di Stato, L’Aquila). Immaginiamo questa l’azione nei Prati della Corte (diffuso allevamento ovino transumante), mentre da Colle dei Briganti, toponimo di un’intestazione che resta ancora oggi, dominava il Chiarino nei tracciati sottostanti fino alla confluenza del Vomano: percorsi, piste impervie dei boscaioli e pastori tenuti sotto tiro, ma non era sufficiente. Adesso si muovono gli squadroni dei carabinieri: “Arischia, 1° novembre 1869. Regno D’Italia, Provincia del 2° Abruzzo Ultra. Al Signor prefetto della Provincia di Aquila…Signor Colonnello Comandante della legione, ho ordinato ai miei dipendenti che si faccino movimenti incentrati alle montagne di Fiamignano, Rocca di Mezzo e Chiarino; e proseguendo in tal guisa giungere ai vertici delle medesime, e sbarrando tutti gli abituri di queste montagne. Perlustrino e facciano appostamenti nei viottoli e strade campestri per dove sogliono transitare quei malandrini, li attendano ai guadi dei fiumi, agli sbocchi delle valli e sulle creste dei monti donde possano vederli venire da lontano. Con tali preventivi mezzi d’inseguimento, spero debba venirsi a capo di ridurre nelle mani della giustizia i malandrini che travagliano grandemente l’intera provincia. Il maggiore comandante la Compagnia” (Archivio di Stato, L’Aquila).
I ricercati malfattori dormivano sotto gli alberi, evacuavano il campo, sgombravano, e come i lupi percorrevano miglia e miglia, non restava traccia del conclave nei Prati della Corte, ma certo avevano preso lì le decisioni… Si muovevano leggeri, sapevano di essere braccati. I briganti del Chiarino, quindi, eccoli in alcuni stralci dei documenti conservati nell’Archivio di Stato di L’Aquila, in un sequestro di persona, importante. Poi vengono presi, è dunque l’anno 1869. Ma prima, come detto, gli appostamenti dei Carabinieri continui e costanti, senza tregua:” Brigantaggio al Chiarino” titola il documento. Presi infine i briganti, si avvia l’identificazione dei soggetti. Il capo dei tre briganti del Chiarino, la relazione: “Ha l’età di anni 35 circa, e qualcuno dice anche meno. Statura vantaggiosa= comprensione giusta. Barba rossiccia e capelli dello stesso colore, che sino a venti giorni dietro era all’italiana, ed ora si fa crescere intera. Aspetto non disgradevole- mediocre sveltezza. Veste una giacca bleu scuro con quattro fili di bottoni di metallo bianco simili a quelli usati dai carabinieri. Ha sospeso al petto un crocifisso di ottone lungi circa 12 centimetri, e la effige in argento della Vergine. Pantaloni lunghi oscuri = stivali a due terzi dalle gambe. Ha alla cintura una fascia di cotone di vari colori. E ’armato di fucile a due canne e di un revolver. Si hanno argomenti per ritenere che non sappia leggere. Egli stesso si rifrà ad uno dei sequestrati, di aver scorsa la campagna da nove anni, per essersi compromesso in reazioni contro il nuovo Governo…”. Un’altra relazione. “… Connotati. I tre malfattori (del Chiarino) che nel giorno 31 agosto 1869 sequestrarono il signor… Quello che pareva il capo dei malfattori aveva un’età di 28 ai 30 anni, di colorito bianco di statura piuttosto alta; aveva mostracchi grossi ed arricciati, il moschettone lungo e da poco tempo non si aveva rasa la barba: vestiva giacca di panno bleu di giusta lunghezza in due petti, coi bottoni di ottone della grandezza di un soldo, calzone lungo dello stesso panno, corpetto, e fascia di più colori alla cinta, portava un orologio con catena d’argento, e cappello molle colla punta rientrata, di colore nero, e stivali alti fin sotto il ginocchio. Gli altri due dell’età di 20 e l’altro di 26 vestivano alla contadina un panno bleu casareccio, i calzoni erano lunghi, cappello di lana duro: questi due erano armati di fucile a due colpi e revolver. Questi aveva una pronuncia che somigliava il dialetto della Provincia Romana ma stentato gli altri due avevano il dialetto della Provincia di Teramo ma modificato dall’essere stati in altri luoghi. La camicia del capo brigante era di tela fina casareccia, ad impastata da una quindicina di giorni, gli altri due avevano una camicia più pulita. Firmato il Comandante della Compagnia”. Poi, è la volta dei fiancheggiatori dei briganti: “…incominciò a tergiversare, e dare di sé gravi sospetti e finalmente confessava che stante egli a far cerchi per bottacci nel bosco del Chiarino gli si presenta innanzi un brigante, da lui sconosciuto, il quale gl’impose di portare un biglietto alla famiglia dei ricattati in Aquila, e che mentr’egli andava, giunto in Pizzoli fece incontro del figlio del signor Guglielmo e da lui ricevè la ripetuta somma che consegnò ai briganti. E per non aver il suddetto avvertito in tempo la Forza fu dai fatti militari arrestato, e perquisito gli si rinvennero nel vestimento 20,40 composte di tre biglietti da 20 l’uno, un biglietto da 5; due marenghi di oro da 20, l’uno scintillante e mezzo di argento formando un totale di 96, somma che venne sequestrata fu presentata al Signor procuratore del Re. Firmato. Il Maggiore Comandante della Compagnia”. Quando andiamo via, attraversiamo il bosco del Chiarino, scende la sera, le ombre dei faggi si allungano, e con esse si allungano anche gli spettri dei briganti che vigilano i Prati della Corte e il loro colle, e tornano, perché sono la cattiva coscienza del disastro sociale, di cui non ci siamo mai emendati, nel Mezzogiorno d’Italia. Ancora oggi…
Archivio di Stato, L’Aquila. I fondi consultati:
Prefettura, Atti del gabinetto, anni 1868 -1872. Busta 18.
Corte di Assise di Aquila. Processi di reazione e brigantaggio, 4 bis.
Atti demaniali. Prefettura, sezione demaniale, I versamento – 2
Sezione di Archivio di Stato di Sulmona, Corte d’Assise, Brigantaggio, B. I, fasc. 8.
La mappa catastale del Chiarino è del 1902.
Con noi nel Chiarino, Gianfranco Francazio.
Si ringrazia Roberto Carrozzo.










































































