Fotografia Vincenzo Battista.

























Si narra che l’origine del
bonsai sia stato non in Giappone e nemmeno in Cina, ma bensì in Mongolia.
I mongoli, popolo nomade che viveva per lungo
tempo a cavallo, e che tendeva a spostarsi in base alle esigenze stagionali
quando non per conoscere nuove frontiere, ebbe l’esigenza di portarsi dietro
delle piante per alimentarsi (pare il Pomodoro).
Ma siccome portarsi a cavallo una pianta era
scomodo, queste venivano lasciate per lungo tempo sempre negli stessi vasi. Si
scoprì quindi involontariamente la capacità di adattarsi delle piante a queste
condizioni e con il tempo come irrigarle, potarle e concimarle per mantenerle
sempre piccole ma produttive. Le prime tracce di Bonsai coltivati come li
immaginiamo adesso risalgono alla dinastia Tsin-Chin (265-420 d.C.) in Cina.
Noto con il nome di “Haci-uè” e in
seguito “Hacinoki”, fu chiamato in Giappone “Bonsai”
soltanto nell’era “Meiji” (1868-1912). La tradizione vuole che
un poeta, vissuto tra il 247 ed il 365, abbia allevato per primo a Bonsai dei
crisantemi.
Ma la coltivazione di veri e propri alberelli ebbe diffusione durante la
dinastia T’ang (620-907). Con essa si apre in Cina un’era di pace e di unità in
cui si sviluppano il commercio, la letteratura, tutte le arti ed è fiorente la
lavorazione della ceramica e della porcellana.
Nell’ultimo periodo della dinastia Sung(960-1279) la Cina è considerata
decadente. In questo periodo si estesero i riti, le cerimonie e le superstizioni
taoiste e proprio allora il Bonsai godette di una certa popolarità, divenendo
poi hobby di larga diffusione durante la dinastia Ch’ing che regnò con 10
imperatori dal 1644 al 1911.
Fu un periodo di generale ripresa culturale ed economica per la Cina; e nei
secoli ebbero origine i diversi stili di coltivazione e struttura degli alberi,
dovuti soprattutto alla diversa collocazione geografica delle varie scuole. Non è accertato come si sia diffuso il Bonsai dalla
Cina al Giappone, è probabile che li abbiano portati i monaci buddisti. Il
buddismo raggiunse questo paese nel 552 ed è stato certamente l’influsso più
profondo che il Giappone abbia ricevuto dall’esterno; contemporaneamente si
diffuse la consuetudine di comporre giardini in miniatura. Già dal V secolo,
con la costruzione di meravigliosi giardini, la natura era concepita come
qualcosa di sacro.
Si narra che nel 1644 l’impiegato cinese
Chu-Shun-sui fuggì in Giappone portando con sé tutta la letteratura sui bonsai
che aveva raccolto, questo favorì una notevole accelerazione nella diffusione
di quest’arte.
Il periodo Edo (1603-1868) segnò per il popolo
giapponese la transizione da una società decisamente feudale a quella moderna,
fu un lasso di tempo di 250 anni in cui il paese visse praticamente isolato dal
resto del mondo.
Con il tempo in Giappone il Bonsai divenne un
hobby per un elite giapponese costituendo una delle tante vie dello Zen per
arrivare ad un equilibrio spirituale di benessere e di pace.
Il Bonsai come astrazione della propria fisicità
, a favore della capacità di evocare “paesaggi dello spirito”, ciò lo
lega indissolubilmente al buddismo Zen ed al Tao. Occorre fare un pò di storia
dello Zen per cercare di entrare nell’argomento: Zen è un’abbreviazione di
“Zazen”, un termine giapponese; l’originale cinese è
“Ch’an”. Nel significato originale significa “meditazione”,
nel senso di concentrazione, contemplazione. I buddisti dicono che
“vedere” non è soltanto conoscere qualcosa; vedere è capire in modo
diretto. Il conoscere ed il vedere generalmente sono accoppiati
nell’insegnamento buddista. Il conoscere non è sufficiente, il vedere si deve
unire al conoscere. I Cinesi hanno fatto ciò che noi spesso dimentichiamo:
contemplare la natura, studiarla, ammirarla e ricavare da tutto ciò
un’esperienza.
Il Bonsai rappresentava la simbiosi tra uomo e
natura.
Dietro alle operazioni che richiedono manualità,
in ogni Bonsai è racchiusa la vita euritmica nella quale l’uomo che accudisce
la pianta deve trovare il perfetto equilibrio con se stesso, con il mondo che
lo circonda e con la natura. Il maestro rinuncia ad anteporre se stesso
alla propria pianta, è in grado di cogliere, insieme alla natura del Bonsai in
cui si manifesta l’universo, le leggi della propria natura e quelle che regolano
la natura del Bonsai.
Per i maestri Giapponesi la forma esteriore della pianta non è lo scopo ultimo,
ma soltanto il segno visibile che deve condurre verso l’anima, verso la forma
interiore del piccolo albero. La scelta e l’educazione dell’albero non dipendono
unicamente dalla specie e dalla forma, ma anche e soprattutto dalla possibilità
che esso traduca la visione interiore del maestro. Il Bonsai come elemento di
meditazione. Si narra che la tecnica del
“legno morto” nella bonsaistica sia nata in Giappone quando un
maestro bonsaista trovò una pianta mezza morta ormai quasi coricata per terra
in mezzo ai boschi.
il maestro la salvò facendo diventare la parte
morta un elemento di bellezza, e quindi un opera d’arte. (Vivaio Savegnago, Il Garden).