Testo e fotografia Vincenzo Battista.

 “La Madonnina” si diceva a Bussi, una contrada che scivola sulle rive del fiume, e lui, Stefano, aveva appena due anni, afferrò con le sue piccole mani per tenersi – “mi mantenevo dirà più tardi” – quelle pietre lisce dove le donne sbattevano e lavavano i panni, mentre la corrente del Tirino voleva trascinarlo via. La mamma lo vide dalla finestra, urlò, scese e lo portò in salvo. Stefano Melchiorre, classe 1944, era lui il bambino, e ci tiene a sottolineare la sua provenienza: Bussi sul Tirino. Ma la sua commozione, gli occhi lucidi e le parole che stentano nel suo racconto, dobbiamo ancora aspettarle, a breve… lo capiremo.

Il fiume Tirino era il luogo dove si viveva, soprattutto nella stagione primaverile ed estiva per gli ortaggi, e spesso era paludoso con una portata alta nella zona di “Cerichiello”: questo accadeva con i temporali e con il torrente del vallone di San Giacomo quando entrava nel Tirino che portava acqua e le sue sponde non si vedevano più, era allora solo inondazione.

Noi – prosegue il racconto di Stefano- vivevamo con la campagna, con i prodotti. La gente li esponeva fuori dalla casa, nelle ceste. Si passava, il prodotto pesato con le bilance in ottone si vendeva, oppure c’era il baratto. Questa era la vita.  Con i carretti si andava a Collepietro e a Navelli a vendere gli ortaggi che loro non producevano, in un viaggio di molte ore e faticoso per gli anziani.

Nel fiume Tirino si lavavano le greggi per la successiva tosatura. Queste scendevano da Collepietro, per due volte attraversano il fiume, “Due tuffi”, in un luogo concordato e poi si tosavano.

Le forme che entravano nei terreni limitrofi al fiume si pulivano. Fatti i solchi per le coltivazioni, con i secchi, costruiti anche in legno, si raccoglieva l’acqua dal Tirino e si mantenevano così umidi i raccolti. Nei mesi di febbraio e marzo si zappava, si muoveva il terreno lungo gli argini del fiume e si seminava, con i semi a quei tempi, non con le pianticelle come accade oggi: fagioli, patate, lattughe, peperoni, pomodori e tanto altro. L’unica economia di Bussi per il sostentamento e l’autoconsumo della comunità locale.

Le sponde del fiume Tirino a vederle erano come un salotto di casa: “curate”, pulite. I contadini che avevano i terreni confinanti toglievano le erbacce con la falciglia, sistemavano le sponde, potavano i salici e con i rami tagliati a misura ne facevano i paletti per le piante di pomodoro, fagiolini ed altro. Gli alberi apparivano con le chiome “perfette”, ” camorca” si diceva.

Il fronte -fiore o la serva dell’acqua è un tipo di pianta acquatica che noi- continua il racconto Stefano – davamo alle mucche di allevamento. “Con una barca trainata risalivamo il fiume Tirino” per prelevare, estirpandola, questa erba a fasce strette e lunga per riportarla nei pressi della stalla. Al centro del fiume però, prima, si sistemava, infisso nell’acqua, un palo molto simile quello delle vigne. E due paratie, a forma di angolo, dal palo si congiungevano alle due rive del fiume. Tutto questo serviva per creare una sorta di “dispensa”, una “rigona” di queste dimensioni appunto, per bloccare la pianta (sedanina d’acqua) che non poteva scivolare poi via lungo il fiume e perdersi. Con i forconi, dal fiume sbarrato ma che non comprometteva il suo corso, si prendevano i fasci di pianta a lungo fogliame per alimentare quindi gli animali.

Con le nasse si raccoglievano i gamberi prima che questi si estinguessero a partire dagli anni ‘70, ma anche con le mani dentro le buche delle sponde.

Infine la “via d’acqua”, così la chiama Stefano Merchiorre. La percorreva, ma non lo saprà mai che le popolazioni, le etnie italiche, utilizzavano il tracciato del fiume per spostarsi, per cacciare, per movimentare l’economia familiare dei gruppi eterogenei. La selva e la foresta, spesso inestricabile, e la “via d’acqua” per risalire il paesaggio. Ma Stefano, giovane allora – ed è proprio qui che si commuove – entrava nella casa della nonna Maria De Dominicis, nel borgo di Bussi, riceveva qualche pomodoro in regalo, ma subito lei diceva – poiché era una sicurezza – se aveva “camminato” per la “via d’acqua…”.

Il fiume Tirino, deposito di memorie, storie personali, private, che depongono a ricostruire la collettività, la socialità e le sue funzioni in una visione contemporanea di nuova semantica, e quando lo si attraversa, si scivola il corso d’acqua con le “Canoe del Tirino” come in un “viaggio” subliminale, non solo un soggetto attivo di Bussi presente per un turismo compatibile, ma molto di più, emerge la memoria lunga degli antenati che lì hanno segnato i destini e la loro storia. A loro, quindi, a questo gruppo di giovani, la capacità di saper coniugare la memoria senza tempo, e renderla attuale.



Stefano Melchiorre, classe 1944. Bussi sul Tirino.




Il disegno dello sbarramento del fiume Tirino realizzato da Stefano Merchiorre, con l’elenco di alcuni toponimi relativi alle aree del fiume nel Comune di Bussi.