Testo e fotografia Vincenzo Battista e Archivio storico Wikipedia.

L’Aquila ormai è avvolta dall’oscurità, giù, incredibilmente giù nella valle, trattengo il respiro per l’emozione, ma davanti a noi, invece, l’ultimo fascio di luce, quasi ci fossimo dati appuntamento per una manciata di attimi, frammenti di tempo per gli scatti, quelle fotografie, con le mani quasi congelate fuori dal finestrino che con la pressione dell’aria richiudo, a fatica, stretto dentro un sedile posteriore, spartano, negli ultimi istanti del tramonto, che si spalma sulle cuspidi di Corno Grande e le tre vette con Corno Piccolo. Sullo sfondo i monti Brancastello, Prena, Camicia mentre la penombra rapida, come una lenzuolata, avvolgente, si alza, avanza sulle rocce: metabolizza quel colore intenso rosso prima, forte, miscelato con la neve e poi rosa sempre più tenue che scompiglia la montagna, la rende irreale come non l’avremmo mai più rivista: uno spettacolo unico, irripetibile, supremo, un punto d’incontro tra gli elementi, la natura, a ottomila piedi, direzione sud-sud-est, e poi la virata stretta, senza scomporsi il velivolo, sulla valle dell’Inferno, tra il Gran Sasso e il Brancastello, l’angolo di inclinazione perfetto su Campo Imperatore per tornare, allineati, direzione aeroporto di Preturo. “Adesso spengo i motori del PA18“. L’aereo o meglio, la cicogna biposto costruita intorno agli anni ’30, tela e tubolari in grado di decollare e atterrare in breve spazio, dalla grande apertura alare simile ad un rapace, un’Aquila, scivola nell’aria in un irreale silenzio, guidata solo da chi riesce a fare queste manovre, Giorgio Zecca, pilota di aerei e elicotteri (ricostruisce e restaura anche velivoli d’epoca) che intanto ha “staccato” i motori, mentre ci infiliamo in quella profondità oscura e ignota, difficile da raccontare, che ci spinge in una sorta di altro tempo, di sensazioni forti, dentro momenti irripetibili del volo a vela, unici e affascinanti che non hanno repliche. La Cicogna veleggia a motore spento in un panorama diventato muto, emozionale, dove le parole faticano a raccontare, con piccole luci all’orizzonte, forse una meta, che lentamente si avvicinano, ma molto lentamente, poi fino a planare nella Conca Aquilana come un’aquila che tocca il suolo e si blocca, un po’sbanda, barcolla, ci poggiamo così sulla pista di Preturo. Il PA 18 campeggia nel manifesto del film “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores (nella primavera del 1941, durante la Seconda guerra mondiale, otto italiani ricevono l’ordine di riprendere e presidiare l’isola greca di Syrna, nel Mar Egeo) che gli valse il premio Oscar. La produzione del film trovò il PA18 nell’hangar di Zecca e lo “scritturò” per atterrare su un campo di calcio, parlare di guerra, di italiani in guerra, di memoria e di fuga, come un’altra leggendaria, eroica, il “ruggito dell’aria” così fu chiamata l’impresa allora, un blitz con uno Storch (Cicogna) tedesco della Luftwaffes (simile al PA18); un’azione militarmente impeccabile, al limite del possibile come allora non si era mai vista, che fece sussultare le Cancellerie del mondo quella domenica del 12 settembre 1943: la liberazione di Mussolini prigioniero a Campo Imperatore (a L’Aquila ancora ricordano l’aereo volteggiare su Campo Imperatore prima di poggiarsi sul terreno impervio adiacente l’albergo). Ma prima gli alianti DFS 23O della 2. Fallschirmjäger – Division con i pattini avvolti dal filo spinato per frenare l’impatto al suolo, con dentro i paracadutisti tedeschi della Fallschirmjäger – Lehrbataillon, fanteria leggera per aprirsi, combattendo, un varco anche se non servì. La cicogna del capitano Heidrich Gerlach atterrò subito dopo tra pietre affioranti, buche e il suolo brullo del pascolo che si apriva davanti all’albergo con una manovra di precisione e affidabilità del velivolo. L’aereo era un biposto Fì 156 C-5 costruito dalla tedesca Fieseler, l’unico che ottenne la medaglia d’oro al Valor Militare. I passeggeri, con Mussolini, diventeranno tre, su una pista di trenta passi a oltre 2000 metri di altezza. Tutto è pronto. Attimi frenetici. Per aumentare la velocità iniziale, d’impatto, ed avere un effetto catapulta in quel terreno mai testato, Gerlach ottenne che i paracadutisti e i carabinieri partecipassero al “lancio” della cicogna trattenendola per la coda e le ali, mentre lui spingeva al massimo i motori e alzava la pressione dell’elica. I militari ad un comando lasciarono la presa, la cicogna balzo in avanti, ondeggiò sul terreno, si impennò nell’aria, poi nel vuoto scomparve nella depressione delle “Fontari” accompagnata da un lungo silenzio, raccontano i testimoni, per poi riprendere quota, alla fine della fossa, e volteggiare sopra il monte “Scindarella” portando l’impresa alla sua massima considerazione, il blitz militare senza eguali, e Mussolini, nell’ultima pagina della sua storia, incontro al suo destino.

 

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