Vincenzo Battista

Cascina, nell’Alto Aterno. L’Eden del nostro tempo.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

C’era un pastore a Cascina che aveva la moglie ad Antrodoco. Si sussurrava che tutti o giorni ammazzava una pecora e la buttava nell’inghiottitoio di Palanzano (piano contiguo a quello di Cascina) e la pecora, passando sotto il monte Giano, finiva ad Antrodoco dove la moglie la prendeva dal torrente che riemengeva in superfice dalle viscere della montagna. Un giorno, la moglie, ad Antrodoco (in località Sigillo) al posto della pecora, prese dal torrente il bastone e il cappello del marito trascinato dalle acque. Intuendo cosa fosse accaduto, piangeva e diceva.” L’acqua cascinese dolce era e amara mi si fece”. Dopo il bastone e il cappello, seguì anche il corpo del pastore morto. Il padrone del gregge si era accorto del furto quotidiano causato dal pastore ed aveva utilizzato l’inghiottitoio di Palanzano, ma per un altro scopo. Gli elementi fisici, i luoghi descritti, a cui fa riferimento questo racconto di narrativa orale fantastica ci sono, esistono, e realmente possono essere individuati, e anche compresi, pur sempre restando nell’ambito di una rappresentazione metastorica (non sovrapponendo la storia, permane costante nel fluire di questa) che la comunità, nell’articolato racconto popolare, fa di sé. Mentre la tradizione orale che l’ha “conservata e amministrata”, in questo bacino geografico di Cascina risponde ad una “memoria lunga” della gente che viveva il paesaggio, “guardava la natura” e ne metabolizzava gli elementi fondanti  lo stesso territorio: l’acqua, le sorgenti, l’inghiottitoio visto come una sciagura perché nascondeva per sempre l’acqua, risorsa fondamentale per la comunità locale; il lavoro di pastore salariato, la transumanza nella Campagna romana, gli aspri conflitti con gli armentari; la montagna luogo mitico per eccellenza dei briganti, ed accadimenti prodigiosi; le fiere e i mercati che si svolgevano nel versante opposto, ad Antrodoco, raggiunto dopo molte are a piedi. La drammatizzazione infine, di questi elementi concludeva il racconto popolare, dando valore autoctono a questa area montana dell’Abruzzo appenninico interno che confina con il Lazio. Il territorio geografico è il piano di Cascina, situato a 20 km nord- ovest dell’Aquila. Esteso piano coltivato ed area di allevamento, segna, con i rilievi, il confine settentrionale con la provincia di Rieti ad ovest, con il monte Giano (1820 m.) e Calvo (1898 m.). Le cavità ellittiche di Cascina a Palanzano ricadenti nel territorio comunale di Cagnano Amiterno e L’Aquila, a quota 1000 metri, disegnano una mappa di particolare caratterizzazione ambientale, di una unicità di sistemi: boschi di faggio secolari, acero e carpino; l’area naturalistica di Macchialunga (1246 m) con il bosco di betulle vincolato a bene naturalistico ambientale; l’inghiottitoio di Palanzano, sorgenti corsi d’acqua  ed aree acquitrinose, rafforzano le forti valenze ambientali della piana di Cascina e della sua regione carsica. A questo si aggiunge un paesaggio storico risultato di un insediamento del XIII secolo, originato dalla nascita del feudo di Cascina. Sulla piana invece sorgono gli agglomerati rurali e le case sparse contadine, occupare in prevalenza nei mesi dell’immissione dei capi di bestiame dalle frazioni di Cagnano, dove una piccola comunità di allevatori coltiva il fondo agrario e concorre a mantenere l’ambiente vivo in una continuità storica di uso del paesaggio che è uno dei valori di riferimento. L’incontro con questi luoghi permette senza retorica di “osservarli dal di dentro” dal loro nucleo costitutivo, dal “Dna”, non essendo formazioni statiche come apparentemente ed erroneamente si pensa, ma fattivamente integrate con l’ambiente e con un “attivo sistema minore di segni”, di lavoro che deve essere ancora compreso e restituito a giusta dignità, come poche volte è accaduto in passato, soprattutto oggi con la programmazione di un nuovo sviluppo legato ai parchi nazionali e alle oasi naturalistiche, per non lasciarsi indietro le comunità che hanno ereditato la storia del paesaggio appenninico.

I due piani ellittici di Cascina e Palanzano comunicano tra loro attraverso una incisione scavata sulla dorsale, che li separa. Palanzano può considerarsi un museo naturalistico all’aperto, un grande libro, un erbario per la qualità e quantità di specie officinali, preventive e curative che da aprile fino a giugno, mese di massima fioritura, è possibile vedere. È questo un patrimonio di antica conoscenza da parte della tradizione orale di Cascina, che ne conserva con decotti, infusi, estratti le proprietà e le qualità curative medicinali (fitoterapia). Ecco l’elenco di alcune di queste erbe “miracolose”.

Erba viperina: infuso efficace per calmare la tosse stizzosadelle bronchiti; Gallio bianco: contro le crisi convulsive. I pastori lo usavano per far coagulare il latte, dato l’alto contenuto di sostanze acide; Camedrio: contro la gola arrossata, cattive digestioni; Tomo Serpillo: reumatismie bronchiti; Farfaraccio: usato nella medicina popolare contro piante tossifughe; Iperico: indicato per l’azione cicatrizzante; Salvia dei prati: usata contro la diarrea, sudori notturni, asma; Cuscuta: proprietà astringenti, lassative; Sclarea: gonfiore delle gambe, infiammazione agli occhi; Achillea: ulcera e gastriti ribelli; Olmaria: ha proprietà aromatizzanti, diuretiche, antireumatiche; Belladonna: la donna ne faceva uso per rendere bella e attraente la pelle del viso.