“Chi può ridire le grida di un’ammirazione…”.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“Zavarella Domenico di Pratola Peligna si ammogliò nel comune di Campo di Giove, ricorrendo nel 1823 la festività della Madonna della Libera vi si ricondusse con tutta devozione, entrò nella chiesa per implorare dalla Vergine Santa la guarigione di un male che lo affliggeva. Allora si usava dai devoti pellegrini suonare alla sua volta da sotto il campanile la campana e non potendosi impadronire della fune, egli che sapeva l’uso di fretta al campanile e si attaccò alla fune per suonare a sua volta, e mal gliene avvenne perché i pellegrini dal  di sotto tiravano anch’essi con forza, però lo Zavarella che s’era con ambo le mani attaccato alla fune venne bruscamente sbalestrato in aria con veemenza andò a cadere in mezzo della via innanzi alla Chiesa, mentre gridava : “ Madonna della Libera, aiutami!”. Difatti venne prontamente e miracolosamente salvato. Giacché lo stupore di tutto il popolo commosso, lo si vide rialzarsi illeso per andare a prostrarsi piangendo d’innanzi all’altare della venerata Vergine! Chi può ridire le grida di ammirazione e di gioia di tutta la folla accorsa, dentro e fuori della Chiesa a così manifesto miracolo?”. Ciò è scritto in un fascicolo edito nel 1908, dal titolo “la Madonna della Libera e il secolo XX”, che non è affatto cambiato, e lo vedremo, quando la ricchissima costellazione di narrati miracolosi, storie personali di accadimenti prodigiosi, pellegrinaggi e incubatio, simboli e simulacri di una fede religiosa irrefrenabile, si daranno appuntamento nei santuari abruzzesi per ricomporre, tassello dopo tassello, il più grande puzzle etico – religioso che si conosca.

Da Gioia dei Marsi circa 150 persone, “La compagnia”, così chiamata, a piedi, inizieranno il “cammino” di purificazione che durerà 15 ore: il rito di passaggio, il “viaggio”, catartico, verso la meta della “festa”, subliminale, che attende i pellegrini nella chiesa dedicata alla Madonna che “libera e restituisce certezze”. Percorreranno a piedi 40 chilometri, dal Fucino, superando Forca Caruso per scendere nella Conca Peligna con insegne, i canti religiosi, attratti da un luogo sospeso nel tempo, che non appartiene alla loro quotidianità, ma sembra scritto nelle biografie di ognuno. Nella chiesa intanto si assisterà a “ lu strasciòine”: in ginocchio, i fedeli, attraverseranno la navata centrale fino all’altare, e infine usciranno, senza voltare le spalle all’altare; poi la statua della Vergine dai quei particolari riccioli neri donati da fanciulle di Pratola Peligna, da una nicchia, “ scenderà”, “apparirà”, lentamente ai fedeli, attraverso un sistema meccanico, tra lo stupore dei presenti, per essere il più vicino possibile a “l’evento”, taumaturgico, inconfessabile, che ognuno di loro si aspetta.

Le immagini: i santuari di Nunzio Sulprizio – Pescosansonesco ( Pe), e San Gabriele a Isola del Gran Sasso.