Testo e fotografia Vincenzo Battista.

 Per quanto possa essere distante da noi anni luce nel nostro villaggio globale web e dei social network, eppure da qualche parte, nascosta, accade, quasi incomprensibile, qui, nei dintorni della pianura di Bazzano (fraz. L’Aquila). Con la luna calante vigile interprete, e chiamata a regolare il tempo degli uomini e delle cose.

E’ il 15 maggio appena trascorso, una data simbolica questa, come se fosse intervenuto, a nostra insaputa, nel suo rigido protocollo, l’ispirazione di Varrone (Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C. E’ stato un letterato, grammatico, militare e agronomo romano), a fissare “l’asset”, il valore economico del tempo poiché, tra il 21 marzo ed il 22 giugno, ovvero l’equinozio di primavera, si praticava e si pratica, ancora oggi, il lavoro di tosatura degli armenti: togliere il vello nella stagione imminente (con le forbici adatte e i gruppi elettrogeni) e poi per quella estiva, con la luna calante, scrive Varrone. Il calendario, quel calendario, per i romani era lo stretto connubio tra natura, lavoro materiale e i miti: una sorta di religioso comportamento da adottare, spalmato sull’intera comunità che non si sottraeva a questo protocollo, che sapeva molto di una ossessiva spiritualità, un ricorso costante alle illusioni di un mondo magico, arcaico e divino romano del nume tutelare, in una visionaria metafisica anche se si trattava di allevamento ovino e cultura materiale con tutto quello che ne conseguiva ( per comprendere al meglio questo disegno evocativo bisogna andare a Pompei – citta agricola e commerciale – e visitare le domus e quello che resta delle insulae). Il 15 maggio, pianura di Bazzano oggi, gli allevatori proprietari di 170 capi di ovini razza comisana, 5 quintali di lana ricavata mandata al macero perché non c’è mercato, nessuno la vuole, mentre la squadra dei tosatori viene da Potenza. La tosatura andrà avanti per ore. Per i romani, invece, la lana, trasformata, era un indumento fondamentale per tutte le classi sociali. Lavata con il detergente che avevano: l’urina che contiene ammoniaca, sbiancante per la lana (un precursore delle lavatrici), e poi la stessa acqua della risciacquatura utilizzata come cosmesi per il viso, le ulcere della pelle e per le stesse macchie. Dopo il lavaggio la lana veniva cardata con gli aculei di porcospino, filata al fuso e infine il telaio in legno verticale, tessuta. Ma quello che a noi lascerebbe attoniti, sbigottiti, stupefatti è vedere, nella pianura di Bazzano, le greggi, o meglio i velli, i mantelli di lana delle pecore dipinte di colore rosso scarlatto e di colore porpora (un’ampia gamma di tonalità che variano dal rosso – rosso porpora- al blu-viola) intente a brucare seraficamente e muoversi al pascolo, sì, se fossimo vissuti nel periodo che Plinio (Como, 23 a. C. – Stabia, 25 agosto 79 d. C.) così descrive, osservando le mandrie, ancor prima della tosatura. Era questa una pratica ricorrente. Per lui, Plinio, che guardava le mandrie dipinte, il colore equivaleva al lusso delle classi agiate . Le tinte si spalmavano con i secchi in legno molto prima della tosatura sugli stessi velli degli armenti tali da renderli quasi sacrali e pertanto indubbiamente riconoscibili. Il lusso in quella tipologia di lana per i nobili romani della citta di Aveia, municipio romano della Conca aquilana. Un brand, perché no, mediatico e subliminale per quei tempi, come se le pecore fossero nate già così colorate…

Si ringrazia l’azienda Francesco Santarelli, Bagno ( AQ).