I colori della grande bellezza. Dalle terre naturali all’opera d’arte.

 Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Il pigmento, sostanza colorante, derivata da terre naturali, quella che oggi noi vediamo negli affreschi o nelle sculture, aveva necessariamente bisogno di una pellicola pittorica, un legante, una sostanza fluida con cui venivano impastate le materie coloranti per tenerle assieme tra loro. Nel medioevo si usarono per questo scopo la calce spenta, colle animali e gomme vegetali, connessi con il pigmento appunto alla tecnica pittorica scelta (affresco, terracotta, tempera su tavola e nella scultura). Il bianco si otteneva delle argille e dalle marne; Il nero era ricavato dal carbone oppure dalle ossa e dall’avorio. Bisognava triturare ossa di animali oppure scaglie di avorio e farli scaldare in contenitori sigillati. Il rosso, la terra rossa, si otteneva macinando l’ocra gialla in vasi. I verdi, malachite, è invece un carbonato di rame. Il verderame si otteneva utilizzando aceto quasi solidificato. Per il blu si ricorreva alle pietre di lapislazzuli, molto costose ( Michelangelo, nella Cappella Sistina lo utilizza in due distinte fasi storiche nella Volta e nel Giudizio. Nella Volta era compreso nei costi della sua committenza: era a suo carico, per questa ragione ne utilizza poco. Nel Giudizio, invece, il lapislazzuli, fornito dalla Curia romana, lo usa in gran quantità). Il lapislazzuli, azzurrite, è una delle tonalità di blu più antica e diffuse. l’ocra, infine, una terra naturale simile all’argilla, lavorata e impastata determinava sfumature di pigmenti gialli, marroni o rossi.

 

Affresco nella chiesa di Santa Maria del Ponte, Roio ( seconda metà del XV sec.). Madonna con il Bambino ( primo decennio del XVI sec.), Saturnino Gatti, Munda, L’Aquila. Presepe di Santa Maria del Ponte ( terracotta policroma, XVI sec.) attribuito a Saturnino Gatti, Munda, L’Aquila.