Davanti l’opera d’arte. L’Abruzzo di Francesco Paolo Michetti.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

È il campo delle attese il grande quadro, l’estesa pittura…Le spose bambine offerte alla santità consolano i penitenti tra i fumi e i vapori, il piatto poggiato sul pavimento con le offerte di oro donato al santo e tolto dal corredo familiare per grazia ricevuta. Imbevuti dei più antichi legami clanici della terra che feconda, gli uomini – rettili strusciano distesi carponi con i piedi sporchi e laceri del pellegrinaggio, e le reliquie dei santi frontali a loro sanano i mali antropici, il cotto della pavimentazione della cattedrale romanica e la luce che penetra dal portale d’ingresso spalancato, i vestiti lunghi inzuppati e mai lavati delle compagnie dei pellegrini penitenti delle contrade abruzzesi, i musici e i cantastorie, la testa poggiata a terra e la lingua che lecca il pavimento per devozione, come scriveva il giovane giornalista d’Annunzio, le lastre tombali dei patriarchi seppelliti nella navata, il rito di “passaggio” dell’incubatio (dormire e pregare in chiesa in attesa di un evento straordinario…) e chi piange e mangia, i neonati trasportati nelle culle di vimini per la benedizione e protezione, la croce astile processionaria placcata in oro e argento di Nicola da Guardiagrele, il busto in argento del Santo Pantaleone con gli occhi sbarrati e perplessi viene baciato sulla sua bocca con una funzione di supplica, la magnificenza dei candelabri celebrativi il rito, l’abbigliamento sgargiante dei rossi e dei blu delle donne e uomini e i tessuti lavorati con l’uncinetto, gli infermi e gli storpi in attesa di un miracolo di guarigione e le suppliche, le invocazioni, i lamenti per espiare le colpe, aspettano il miracolo. La folla assiste quasi a formare una quinta scenografica, la luce radente illumina i corpi che sembrano usciti da un sepolcro, in quel clima di attesa di un segno salvifico della Resurrezione. Le facce bruciate dal sole e solcate dalla fatica di schiavi – coloni nelle campagne abruzzesi, i costumi del folk locale, il sacerdote dotto e sapiente su un inginocchiatoio con i ricchi abiti della cerimonia, defilato ed estraneo ma, nella sua liturgia “personale”, ignora quello “spettacolo”: è a ridosso delle benefiche reliquie sacre che non perde d’occhio, benedice con lo stilo dell’acquasantiera e legge il vangelo. I fumi, e quell’atmosfera di evento da un momento all’altro che dovrà accadere, delle candele e la penombra restituiscono, a tratti, i corpi e i volti che sembrano incisi con la sgorbia, graffiti preistorici nella cavità del buio primordiale che protegge un mondo meta-storico, rientrano, chissà da quale parte della cosmologia divina, e sono visibili, da un tempo sepolto e lontano e solo lì. I volti tristi delle nonne con i nipoti, ma quel bambino sorridente: che cosa avrà visto…? Rompe quel sinedrio di Passione. E’ un catalogo demo-antropologico nell’Indulgenza parziale (una Perdonanza sub locale) il quadro, o un libro di topografia umana forse per orientarsi nell’umanità che si sfoglia, metamorfosi del DNA di un epistolario collettivo che si compie davanti agli occhi di Francesco Paolo Michetti, pittore delle genti latenti, che ha veramente assistito a tutto questo nelle contrade dell’Abruzzo interno adriatico, nell’inventario di quella sorta di feticci intorno al totem, animistici mai uguali a se stessi, uomini – reperti, fossili, ombre fuggitive ma che, tuttavia,  in quel luogo si sono date udienza collettiva, appuntamento, una “Passione” appunto, religiosa, taumaturgica – devozionale accesa e indissolubile, lì cercano una sintesi, una ragione inconfessabile, transitano quegli uomini: tessitura dell’umanità, gli è concesso questo…

Il quadro: Il voto, che Michetti dipinse tra il 1881 e il 1883, Galleria nazionale d’arte moderna – Roma.

Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, 2 ottobre 1851 – Francavilla al Mare, 5 marzo 1929) è stato un pittore realista e naturalista e anche fotografo italiano.