Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Celestino V, alias fra Pietro, arriva alle pendici del Morrone. Siamo intorno al 1240 (ma è una data mobile), “ il detto Pietro ha 24 anni” ( Processo di Canonizzazione). Viene da monte Palleno – Castel di Sangro, iniziato benedettino presso l’Abbazia di Santa Maria di Faifola, e poi l’ordinazione sacerdotale. Cerca un luogo remoto “ Grottole” a metà costa così denominato, selvaggio, paludoso inaccessibile dai boschi alle pendici e con vicus e pagus diffusi. Eremita da subito, metafisica e sublimazione si coagulano nell’esito delle sue penitenze. Cerca un luogo alto e aspro, così la narrazione dei testimoni nello stesso Processo di Canonizzazione del 1306 : la montagna è il veicolo, verticalizzare il senso della contemplazione, le orazione poi, astinenza, vestito di stracci peregrinate, possiamo provare a comprendere – forse immaginarlo, in quella solitaria, prima, impattante, esperienza nella spelonca che è il suo abito (eremo di san’Onofrio ).

Anagni, 1230 ca. I Caetani e Bonifacio VIII. Una formidabile macchina finanziaria con milizie al seguito, tesa all’acquisizione di ricchezze, latifondi nella opulenta terra della Palestrina e Anagni e lui, Bonifacio VIII, a Bologna da studente, si specializza in diritto canonico, carriera ecclesiastica e missioni diplomatiche. I Caetani, una delle più importanti e temute famiglie dell’epoca. Il cardinale Benedetto Caetani aveva 64 anni quando fu eletto papa con il nome Bonifacio VIII, il 24 dicembre 1294, dopo la rinuncia di Celestino V.

Ma torniamo alla montagna che protegge ed evoca. Sì, la montagna di Celestino V, il Morrone, ideogrammata nell’aspetto sincronico: i documenti disponibili, le testimonianze dei discepoli, i movimenti eremitici, la costruzione di edicole, chiese, eremi, cenobi, sotto il nome dell’esperienza comunicativa di una persona chiamata Pietro dal Morrone, plastica latitudine antropologica di una mappatura sospesa nel tempo, che ancora oggi, alle sue pendici, è rito processionale, oggetto di culto, espiazione, ex voto, le case che lo raccontano, pellegrinaggio, festa, interpretazione storico- religiosa, sacra devozione e memoria, il 19 maggio.

Se pensiamo che papa Bonifacio VIII commissiona il proprio sacello funebre, il sepolcro ( si trovava nella controfacciata della Basilica di San Pietro), con lui inginocchiato davanti alla Madonna e al Bambino Gesù e, addirittura, San Pietro che tiene le proprie mani posate sulle sue spalle. Così richiede, sotto dettatura, ad Arnolfo di Cambio, che scolpisce il papa come se fosse vivo: riemerge, in questo, lo spirito autocratico, dispotico, assolutistico dei Caetani e il loro potere incontrastato, oltre ogni immaginazione, poiché la statua che doveva avere il volto da morto con gli occhi chiusi, viceversa è “viva”. Il sacello, che ci guarda e scruta, suscitò scandalo, prefigurava l’immortalità, lui Cristo vivente, la Resurrezione, ormai si era entrati in una dimensione surreale del culto della personalità, incontrastato.

Il paesaggio della memoria di fra’ Pietro. Bartolomeo da Trasacco , un discepolo di Pietro dal Morrone: ” nei tempi di quaresima Pietro faceva mille genuflessioni tra giorno e notte e in ogni tempo cinquecento”. Analecta Bollantiana, i documenti : “discese in una fossa recando seco per sostenersi solo dieci pani e otto cipolle, lo trovarono gelato e semivivo nella fossa; in lacrime lo estrassero fuori per riscaldarlo vicino al fuoco”. Il cardinale Jacopo Stefaneschi, capitolo VII del libro Opus Metricum : “Nel venerdì e nel martedì scioglieva il digiuno col pane e il calore della sete con l’acqua che cadeva. Sino a quando la luna non terminava il suo corso, si asteneva dai ceci, dalle fave fresche rinfrescate dell’acqua corrente, dalle rape tenere e crude, da altri legumi, da castagne e dalla frutta dolce per il suo succo”.

Museo dell’Opera di Firenze. La statua di Bonifacio VIII, fine Trecento. Imponente in una geometria gotica verticale, pienezza dei poteri del pontefice, accentuata nella visione dal basso in alto come una cattedrale medioevale. La sacralità del corpo del papa. Così vuole Bonifacio VIII, l’eternità sua e della Chiesa, l’incarnato, il potere temporale, la ricca veste pontificale, e il pallio della sovranità teocratica di papa Caetani. Una sua citazione: “ Io sono Cesare, io sono l’imperatore”, si addensa il sospetto di idolatria, la visione ecclesialogica: la figura del pontefice è sempre più Cristo visibile in terra e rende Bonifacio VIII, in un’altra statua, questa volta di Manno di Bandino ( Museo civico medioevale di Bologna), in un atteggiamento ieratico, soggezione iconica, il supremo potere giudiziario del pontefice che vedeva nelle scomuniche dispensate con molta disinvoltura per quei tempi, lo strumento del potere inquisitorio per far tacere il potere civile. Toglie il Giubileo di Celestino V a L’Aquila e cerca La Bolla della Perdonanza per distruggerla, sancisce il suo Giubileo a Roma nel 1300, annette alla Chiesa romana il vasto patrimonio dell’ordine dei Celestini compresa la Casa madre di Santo Spirito del Morrone. Il corpo, quindi, ma anche il suo abbigliato che manda “messaggi”: pianeta e dalmate di Bonifacio VIII, tessuto di seta rossa, tessitori in Palermo ( opus ciprense), decorate con grifoni con artigli e il becco aperto pronto a colpire, aquile bicipiti dentro ruote con l’intento di ghermire, pappagalli, floreali cruciformi, figure del Redentore, re biblici e santi. “Il messaggio” aggressivo, violento, di “un’altra Chiesa” nei simboli iconografici della pianeta che plasticamente indossava, rappresentano la forza d’urto del suo papato. “ Lo schiaffo di Anagni “, così chiamato, un evento straordinario, che subì Bonifacio VIII, fu l’epilogo di uno scontro tra due visione del potere: universale ed eterno della sua Chiesa e il re di Francia Filippo il Bello che, viceversa, riteneva di non dover rendere conto che a Dio.La testa marmorea di Celestino V, museo di Anagni (anonimo). Il volto elegante, magro, le labbra strette, serrate, quasi volessero trattenere un disagio, gli occhi bassi, gli zigomi pronunciati e sporgenti, le sopracciglia arcate, lo sguardo contratto, la tiara papale che indossa. Dopo la rinuncia e in fuga insieme a Tommaso da Sulmona (secondo alcuni biografi) un suo discepolo, sfugge ai controlli, braccato dagli uomini di Teodorico da Orvieto, camerlengo di Bonifacio VIII. Vuole attraversare l’Adriatico, sa di poter essere catturato, è ricercato e arrestato nei pressi di Vieste. Scortato nel castello di Fumone, “della notte di nascosto e nessuno lo sa”, ” nella torre di questo castello”. Dura prigionia, così vuole Bonifacio VIII, per evitare frequentazioni e proselitismo, è assistito da alcuni confratelli. Muore nella Rocca di Fumone (aveva 87 anni), in una cella angusta ricavata in una torre medioevale, con l’alto muro di cinta che l’avvolge. Viveva in quella fessurazione dello spazio angusto, tra le quinte in pietra quasi a toccarsi, il recluso si può solo stendere sul pavimento e restare immobile. Nella stanza che immette nella cella della sua detenzione e morte, una teca reliquiario conserva il dente di S. Pietro Celestino, un frammento del suo cuore, ossa, camicia e pianella, frammenti di guanto e abito, capelli e costole, il cilicio. Frammenti quindi di un’incessante devozione popolare con una quantità enorme di ex voto per grazia ricevuta ( comunque la pensiamo ) attratta dal luogo – emblema e sito della povertà assoluta di Celestino V tenuto lì senza che lui nulla chiedesse, e dell’oltraggio nei suoi confronti che non conosce limiti, il più basso e schiacciante della sua umanità bandita: reclusa, questa, e lasciata morire nella ferocia del potere. Ma mesi prima era stato eletto papa nella cerimonia a L’Aquila il 29 agosto 1294 e lì resterà fino al 5 ottobre. La sua cancelleria opera le prime tre importanti decisioni: La Bolla del Perdono, salvezza per tutti, non si acquista più l’indulgenza che prima era del mercimonio e tanto danaro a favore della Chiesa da parte solo di eletti. La creazione di dodici cardinali e norme più severe per il conclave. Lui, Celestino V, è anziano, austero.

“ Aquila in divisione assay trovastj, che l’un castello all’altro facea guerra; venisti un questa terra et l’un coll’altro tutti li apparasty” ( Cronaca aquilana ritmata di Buccio di Ranallo di Poppleto di Aquila – sec. XIV. Così si rivolge a Celestino V ). Dopo circa cinque mesi di pontificato abdicò, una bomba mediatica di proporzioni inimmaginabili per quel tempo. Morirà nella rocca di Fumone, come detto, il 19 maggio 1296. Il suo successore, Bonifacio VIII, vivrà ancora per otto anni, fino all’11 ottobre del 1303. Il sogno teocratico della chiesa di Roma ebbe fine. Nel 1305 salì al Soglio pontificio Bertrand de Got – Clemente V, papa francese. Uno dei primi atti fu quello di canonizzare Celestino V, un segnale, una visione strategica – politica per cancellare il papa Caetani e in quella maniera rinnegarlo, eclissarlo per le sue ricchezze, ingiustizie e atteggiamenti amorali. Una rivincita per Pietro dal Morrone, proviamo a pensare, un uomo che era venuto non per fare domande, ma per avere risposte, nella solitudine della natura che è il primato intoccabile, mai estinto, forse da lui giunto fino a noi, nel nostro tempo…+