Dopo la battaglia, quel che resta. La Conca aquilana, San Michele Arcangelo e il drago. (Seconda parte).

Testo di Vincenzo Battista.

La battaglia è terminata, sul campo vapori e polveri si alzano dal suolo, tra armature e lance spezzate resta il profilo, la sagoma che appena si scorge di San Michele Arcangelo con le sue grandi ali e la lunga spada che ancora impugna, e i fuochi sparsi e la bruma che copre lentamente la notte avanza nel paesaggio di Bominaco: il guerriero cristiano ha sconfitto il drago. “La comunità tira un sospiro di sollievo”, dicono.  Ma intorno ci sono rupi, grotte e boschi, un’altra geografia onirica proviamo a pensare, poiché nell’immaginario collettivo sono le genti di queste contrade che appunto “disegnano” una rete di percorsi, di “incontri” fantastici e immateriali: tappe obbligate da parte dei fedeli, di toponimi spesso legati a culti e divinità preesistenti il cristianesimo e molto ancora qui c’è” l’incontro”, la spiritualità, il ricordo di eventi apocalittici che rompono le leggi della natura. Qui, la grotta, dove tutto ha avuto inizio. La cavità di San Michele Arcangelo nel bosco di ginepri e querce di “Sant’Agnera” poco distante da Bominaco, occupata un tempo dagli eremiti che la trasformarono da comunissimo luogo frequentato da pastori e contadini in un santuario da custodire, da occupare fuori da qualsiasi comprensione…. La grotta. Tutt’intorno un paesaggio, il luogo franco, proibito, interdetto alle attività agricole nel giorno della ricorrenza del guerriero con corazza e ali, quando è attraversato dalla processione che sosta nella “conicella dell’Arcangelo”, un ex voto per grazia ricevuta, costruita nell’Ottocento: è la quota altimetrica più alta. Ma non basta. Intorno ad essa, il rito delle rogazioni, la benedizione dei terreni contro grandini e tempeste nei quattro punti cardinali, arcana meraviglia che sfida gli elementi di una coreografia forse presa dal Santo Graal medioevale, con le confraternite vestite, gli stendardi, la statua dell’Arcangelo, il corteo della processione e alcune persone che procedono in ginocchio fino alla grotta, sì alla grotta. Dentro, un ambiente in penombra, con l’altare finemente lavorato in pietra gentile: contrasta con la cavità remota. In alto, l’apertura nella roccia, quasi un varco inconsueto, conquistata da San Michele, per entrare e sconfiggere il male, il drago, evacuarlo dal sito della purezza e del mito: da lì un enorme fascio di luce quasi fosse una sciabolata contro la roccia (ma così dicono) illumina l’altare, il luogo di culto e nel fondo una cisterna e una vasca che raccoglie lo stillicidio delle acque percolanti, elemento fondante della devozione, che spengono sì i fuochi, ma dopo la battaglia, vinta. L’Acqua, le sue proprietà terapeutiche, raccolta e portata nelle case del paese, utilizzata per gli infermi che in questi luoghi mitici ne conservano la memoria di guarigioni, di eventi, quasi incomprensibili per noi; e poi un avanzo di mura, lo spazio che era riservato ai due eremiti peregrinanti. Si spegne lo “schermo” dove abbiamo visto scivolare le tante immagini, tutti vanno via da questo paesaggio di segni, di processioni e narrazioni, di culti “profilo spirituale dell’Abruzzo”, come scrisse Ignazio Silone della regione, ma oltre il sentiero avvolto oramai dal buio che infine percorriamo, è quello “schermo” che ci lasciamo dietro, distante migliaia di anni luce da noi…

Le immagini del 1980 ca. sono di Lorenzo Nanni e Vincenzo Battista.

La processione e la grotta di San Michele Arcangelo a Bominaco.