Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La trama della fiaba, il gioco narrativo, il racconto si ciba del meraviglioso e del sublime, delle forme inanimate, di esseri soprannaturali.
Nella sua struttura spesso entrano con l’affabulazione combinazioni e
affascinanti repertori che dialogano con l’ambiente e la natura, con il
paesaggio dei beni culturali e una geografia riconducibile a luoghi ben
conosciuti della cultura locale: il paesaggio abruzzese. La fiaba popolare può essere a tratti realistica o spingersi fino ai confini del meraviglioso nei poteri soprannaturali. I modelli dell’immaginario collettivi dentro il cerchio magico dei narratori trovano così i ricami della fantasia, un mondo scenico tutto da interpretare. I creatori di fiabe rincorrono un condensato di purezza contrapposto al male assoluto che infine, entrambi, devono avere una ragione, un valore assoluto educativo e pedagogico. La fantasia non ha limiti, mescola il sacro e il profano, il nuovo e l’antico spesso di una società chiusa nei gruppi di appartenenza che blindano le fiabe e le tengono dentro il proprio recinto della riproduzione etnica per allontanare dalla propria casa, dalla propria terra, dal proprio paesaggio le profezie, i giudizi negativi, le varianti nefaste che possono attaccare la secolare comunità locale: costituiscono l’archetipo della fiaba che non avrà mai fine…

 

E racconta, racconta. Incipit.

E allora quelle pietre inanimate da secoli lì, a cui nessuno aveva dato più
di tanta importanza, coperte dalla neve, sferzate dalla bufera, riscaldate dal
sole in estate, in una notte stellata che le guardava ed era pronta ad intervenire e lo vedremo, si parlarono e fecero un solenne giuramento. Tutte insieme quelle pietre, un’infinità, nei remoti e sconosciuti  luoghi dimenticati del Gran Sasso d’Italia, una dopo l’altra, lentamente si staccarono dai muri a secco, poi un’altra e ancora un’altra e tante ancora iniziarono prima a rotolare e poi a ricongiungersi per il lungo cammino alla ricerca…