Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Le mani, quelle mani di suor Assunta,  insieme a quell’esile corpo sono state sbalzate da Banguj, la Missione intitolata a Celestino V – Repubblica Centrafricana, improvvisamente, nel primo aereo disponibile: le condizioni di salute di suor Margherita (badessa della clausura del monastero di San Basilio) stavano precipitando, “adesso è tutto rientrato – mi dirà più tardi – “è mia Madre”, devo tutto a lei, dovevo tornare…”. Poi mi ha mandato a chiamare, voleva salutami, rivedermi. Non è cambiata suor Assunta, tanto che persino le immagini provano a rincorrerla, fanno fatica a starle dietro dentro il monastero di San Basilio, scrigno dei saperi e della sapienza, della grande bellezza dei beni culturali e la clausura, considerata un tempo Terra Santa – vocazione filosofica delle colpe dell’umanità per noi laici –  dentro la città dell’Aquila, e, pertanto, in quel luogo bisognava togliersi i sandali per rispettare il sito sacro nella figurazione dell’espiazione. La vitalità di Assunta, in quella sua energia, è un mix tra entusiasmo, esuberanza, grinta, intraprendenza e non potrebbe essere diversamente nella missione in Africa (per noi imperscrutabile) che lei regge, sostiene e la mantiene viva (per gli “ultimi” di papa Francesco), un po’ come la statua di Celestino V che sorregge la città dell’Aquila – le ho detto per usare un eufemismo – lei ha sorriso e ha abbassato il viso. Le sue mani. La missione di Celestino V a sette chilometri da Banguj, Il piccolo ospedale, sette sorelle, una sorta di day hospital per i bambini e i loro genitori con le malattie della malnutrizione, le malformazioni. I bimbi ospitati dentro il padiglione, che hanno iniziato a costruire nella missione, è rimasto incompleto: ci sono i letti, mancano le finestre, le porte, l’acqua. I bambini con le piaghe da anemia, disidratati, la difficoltà a trovare le medicine. Il cibo che chiedono le famiglie in continuazione: riso, acqua, vestiti, scatolette di sardine. Un flusso continuo. “Noi – dice Assunta – diamo le medicine gratis che hanno costi altissimi, e poi i soldi per il trasposto delle persone che a piedi fanno decine di chilometri fino alla missione, per farle tornare nei propri villaggi. Manca la benzina, il gasolio, il cibo, le medicine introvabili, tutto è aumentato per la guerra in Ucraina e le merci  non arrivano. Una volta alla settimana facciano rifornimento alla capitale Banguj, andiamo con un’autoambulanza, per aiutare questa povera gente. Nel piccolo ospedale ci sono i macchinari per le analisi e le radiografie, ma non abbiamo i tecnici specializzati per queste attività, allora tutto si ferma, poi va via la luce il pomeriggio e spesso anche la mattina e dobbiamo aprire il gruppo elettrogeno. Non è facile, ma è la nostra missione…”. Ancora le sue mani, ma quanto sono distanti, queste, da una Chiesa ricca e opulenta, organica spesso alle società consumistiche e mediatiche, dalle mani ben curate e raffinate di molte Curie, che non sanno accorgersi del grido silenzioso a cui sono chiamate. Papa Francesco: “Una Chiesa ricca non ha vita, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano. È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote: sempre…”.