E venne il giorno delle “amarezze”.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“I pastori del mio paese – scriveva Giovanni Titta Rosa, nel libro “L’Avellano”, pubblicato nel 1965 – come li vide e li fantasticò la mia infanzia, al finire dell’estate scendevano dalla montagna e passavano per il tratturo, guidando le greggi con una mazza d’avellano. L’avevano tagliata dalla montagna,  istoriata con figure ed emblemi religiosi e profani; sicché la faccia d’Orlando paladino e del Guerin Meschino stava accosto al volto di Gesù Crocifisso e di Sant’Antonio Abate e il dolente volto della Madonna…” delle “amarezze”, chiamato così il 4 maggio, che è anche, in questa località, il giorno del pentimento, tanto è vero che il brodo della cicoria, aspro, il simbolo di questo rito di purificazione dell’inizio della primavera, lo bevevano; la cicoria l’avevano prima raccolta nelle terre degli antichi orti terrazzati e puntellati da mura a secco, oggi incolti, che scendono sul declivio del solco del fiume Aterno dove cresce a differenza  delle ultime venti famiglie, che non hanno nessuna intenzione di andare via: cinquanta persone strette e avvinghiate in quella elegante struttura urbanistica dalle particolari case – mura del borgo: sembra disegnato sulla carta, compatto, di origine medioevale, a forma di testuggine. Santa Maria del Ponte, frazione di Tione degli Abruzzi. ” Mosè dice, nella Bibbia, di mettere come contorno all’agnello pasquale l’erba amara, in ricordo dell’amarezza, della schiavitù in Egitto – ci dice Don Rinaldo De Santis, il parroco del paese, – È un accostamento, la cicoria; è il simbolo dell’erba amara, per riflettere nella seconda domenica dopo Pasqua”. Le donne hanno raccolto nei campi la cicoria; ogni famiglia ha preparato la pianta, cotta e mescolata con le uova in un brodo: un pasto semplice, amaro, per la “Madonna Piagnetera” chiamata anche così, che le famiglie, questo cibo della devozione, lo assumeranno su di sé, anche in chiave simbolica, per l’espiazione del dolore, la sofferenza, rappresentato qui dal gruppo statuario settecentesco, barocco, della Madonna della Cicoriella : “sembra la statua della Pietà, la Madonna che tiene Cristo deposto dalla croce” ci dicono quando esce dalla chiesa della Madonna delle Grazie sorretta dai portatori e, dietro, quel pugno di persone incolonnate nella processione: hanno svuotato le poche case del borgo di Santa Maria del Ponte. ” Prima si offrivano i dolci e il vino, nelle banchette, quando il paese era popolato. Servivano ai trasportatori della pesante scultura in legno della Madonna della Cicoriella”, raccontano. Lentamente ora risale la cinta del borgo, entra nella contrada rurale del “Codacchio”, un’appendice urbanistica per poi attraversare il paese, passando per il decumano, l’asse viario che taglia in due il nucleo urbanistico di Santa Maria e per una via che l’incrocia, tracciando una sorta di croce, di questo culto, intimo, stipato tra natura e storia locale leggendaria in questo scrigno delle meraviglie che è l’Abruzzo interno.