«Entra dentro, altrimenti kapput…».

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

«Entra dentro, altrimenti kapput…». I borghi della Maiella, autunno del 1943, l’esercito della Wermacht  in ritirata, lungo la linea Gustav, lascia dietro di sé violenza e soprusi di ogni sorta. Colpiti, soprattutto, le popolazioni locali che vengono razziate dei pochi beni posseduti. «Entra dentro, altrimenti kapput…».  Crescenzio Marchionda, pastore di Pacentro, l’ho incontrai che lavorava “per fare manutenzione”, rimettere a posto le pietre di quella capanna divenuta allora la sua prigione: «Quando scesero i lupi a due zampe – disse – ci presero; persino i cani scapparono nella macchia, i tedeschi razziarono le pecore, in ritirata, si spostarono poi a Campo di Giove con tutto quello che avevano rubato».
Crescenzio, tra ironia e rassegnazione, quasi un personaggio siloniano : «noi, dentro le nostre capanne in pietra e fuori il finimondo… gli animali impazziti».
“Prati della Macchia” è una località di passo S. Leonardo come “Collalto”, “valle Cupa”, ” valle Messere” unite da una architettura spontanea che va sotto il nome di tholos, capanne in pietra monocellulari a secco, rifugio quasi senza tempo, distribuite come dei totem in un paesaggio pastorale che mostra questa sua peculiarità, unica nel versante occidentale della Maiella. I costruttori di capanne, che provenivano da Pacentro, non esistono più così come le tecniche e quella tecnologia povera che con l’azione di spietramento strappava al suolo, alle terre alte dell’Appennino, i terreni da coltivare e poi armava a secco la pianta ellittica della capanna per costruire infine la cupola rivestita con zolle erbose e ramaglie, con un foro alla sommità per il focolare. «Era una specializzazione – diceva Crescenzio – un mestiere, che aveva l’arte di scegliere le pietre, metterle una vicino all’altra, una sopra l’altra, di taglio, fino alla cupola, senza farle cadere; e poi le spalle della capanna, l’architrave nella porta di accesso». Dentro, potevano trovare riparo anche quattro persone, che lavoravano i campi o governavano il gregge nello stazzo adiacente. Identità dei manufatti in pietra, storie minori che si sono legate a questa permanenza di architettura popolare che parte delle capanne in pietra e va fino alla stessa pietra “colta” dei centri storici, dei castelli della conca Peligna. Una storia sulla pietra, dunque, diversa nella sua narrazione.