Gli olaci dello stazzo di Fonte Portella del Gran Sasso d’Italia.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

La sorgente a circa 2050 metri, nel grande circo della Portella, anfiteatro naturale davanti la valle di Assergi : “… Qui gettano i ruotoli del panno giù per un vallone ripidissimo, et quelli panni calano giù sopra la nieve gelata, e vengono tra miglia e mezzo, et alle volte tre e mezzo, prima che si retenghino. Paiano sassi che si dirupino giù per quella montagna. Poi gl’huomeni si pongano a sedere e si mettano tra le gambe l’uno e l’altro bene stretti insieme, et anno un bastone tra le gambe con un ferro al capo, et alli calcagni si pongano certe punte di ferro lunghe un nodo di dito”  descrive così le modalità del commercio e il trasporto dei panni dai due versanti della Portella, antica via di comunicazione del Gran Sasso, l’esploratore Francesco De Marchi (XVI sec.). Appena sopra la sorgente, un pianoro erboso, capanne in pietra a tholos dirute, avanzi di mura di uno stazzo d’altura abbandonato, ma soprattutto un tappeto, una distesa fitta e continua, un cambio di colore repentino della vegetazione che forma un grande cerchio: gli olaci dello stazzo di Fonte Portella, pianta perenne (maggio – giugno), “spinacio selvatico” che, secondo un pastore, devono essere così preparati: dopo aver lessato gli olaci in acqua salata, si tagliano finemente e si friggono in una ciotola, nell’olio, con peperoncino, aglio, sale e uova sbattute, amalgamandoli. Nel piatto, poi, si modella una sorta di pane, e sopra si getta il formaggio pecorino, fino a rivestirlo.