Gli zingari che sfidano la montagna sacra.
Pacentro, il luogo della narrazione. La prima domenica di settembre.
Testo e fotografia di Vincenzo Battista.
All’amico Bruno Ramunno, indimenticabile compagno nel lavoro di ricerca e documentazione della storia locale.
Le immagini sono state realizzate tra il 1979 e il 1982.
Quando il suono della campanella della settecentesca chiesa situata nella parte bassa del paese ha attraversato la vallata ed ha rimbalzato poi sulla “Pietra Spaccata” che si presenta così, secondo la tradizione popolare, poiché la Madonna di Loreto nel suo “Viaggio” agiografico condotto dagli angeli circa sette secoli fa durante la seconda traslazione della Casa Santa da Trasatto, nella ex Jugoslavia, fino al centro marchigiano, si poggiò proprio su questo Colle Ardinghi dove sono salito, e dove ha inizio la corsa. Qualcuno degli “zingari” mi dirà più tardi, con i piedi martoriati e fasciati, che quel momento è “la prova della verità”, del coraggio a gettarsi giù a capofitto a piedi nudi, così vuole il rito, oppure rimanere inchiodati per la paura: una lotta interiore tra il bene e il male, dove il “bene” stranamente vuole, nei suoi protagonisti, il tributo di sangue e dolore da consegnare poi ad una commistione di vessilli, immagini religiose e alla processione laica del vincitore con il palio che rappresenta il trionfo della “diversità”. “Gli zingari”, appunto, non sono altro che giovani del paese e dei centri limitrofi di questa celebrazione iniziatica esclusiva che a Pacentro, nella Conca Peligna, la prima domenica di settembre, raduna migliaia di persone che guardano così il mito fuoriuscire dalla montagna e diventare leggenda per le contrade del borgo medioevale sotto il Morrone e nel Parco nazionale della Maiella. Negli anni passati le famiglie emigrate in Germania acconsentivano al rientro dei giovani per partecipare alla competizione: si preparavano lungo gli 862 metri del tragitto, salivano alla “Pietra Spaccata” a quota 750 m. e sceglievano la traiettoria migliore che si presenta con una pendenza del 65% ; poi superavano il fiume Vella e lo “Strippo”, la quota più bassa del percorso a 320 m. per risalire fino alla chiesa, il luogo dell’arrivo, dopo circa cinque minuti per essere in definitiva “ accettati dalla comunità”, così dicono a Pacentro i confratelli del comitato che hanno prima organizzato per le vie del paese la corsa degli “zingarelli”, i bambini. Quando ridiscendo Colle Ardinghi, il percorso e le rocce che affiorano dal fiume Vella che gli “zingari” hanno attraversato, è disseminato da brandelli di pelle e sangue che mi indicano il tracciato seguito da questa penitenza dove la cultura locale ritualizza la sua forma più arcaica e solenne, originaria, una sorta di rito propiziatorio che affonda nelle ragioni di bagnare la terra con il sangue. Più su, guardando il paese, la gente ha abbandonato il sentiero dopo la corsa e si è stretta intorno alla chiesa della Madonna di Loreto, simbolico arrivo della competizione, della prova, dove i giovani “zingari”, all’interno, prima della “vestizione” e della sfilata fino alla casa del vincitore con il palio costituito dal drappo di stoffa per “confezionare il vestito allo zingaro”, sono letteralmente gettati nella navata della chiesa tra imprecazioni, rabbia, dolore e lamenti, lacerati nei piedi delle ferite e accuditi da parenti e amici. La chiesa, luogo di culto, è disarticolata nei suoi significati religiosi e per diverso tempo resta dominio della “ribellione”, nel ruolo della diversità: momento di rottura a cui non partecipa il sacerdote che volontariamente è lontano dal luogo di culto, per lasciare il borgo di Pacentro a una storia irripetibile, locale, che per un giorno solo in un anno, fino all’alba, racconterà le gesta dei suoi inconsapevoli eroi pagani, ma che prima di sfidare la montagna e gettarsi giù, hanno pregato raccomandandosi alla devozione della Madonna di Loreto, che indulgente, veglierà e provvederà a guarire le ferite e il giorno dopo farà camminate i suoi “zingari”.
Immagini di archivio.