Testo e fotografia di Vincenzo Battista.
Le braccia lo avvolgono, gli tengono il corpo, lo sollevano e infine lo imbracano; intorno non vede nient’altro, ombre che si muovono gli prestano soccorso; lo accudiscono, piegate su di lui, lo confortano. . . e poi si ritirano, dalla montagna, quelle ombre silenziose. . .
Salvatore Corsi, ex componente del Soccorso alpino della Guardia di Finanza dell’Aquila, siamo andati a trovarlo a Barano di Tornimparte, da dove partiva alle tre di notte, a piedi, ogni anno, il 10 luglio per la fiera di Santa Anatolia, nel reatino. “Vacca Morta”, “Cerasolo”, “Campitelli”, lago della Duchessa, valle Fua, Cartore ed infine, dopo sette ore di marcia, Santa Anatolia. “Quello era un percorso che faceva mio nonno agli inizi del ‘900 – mi dice – anche con l’asino, per andare a prendere bulbi di agli per la semina e barattarli”.
Ottobre 1974, Vado Ferruccio del monte Prena, catena meridionale del Gran Sasso d’Italia: “Cinque giorni e quattro notti, abbiamo toccato l’inferno con la punta delle dita. . . ” S’infiamma Corsi e a tratti nasconde la commozione. Siamo costretti a fermarci, poi riprende. Andrà avanti così per tutto il racconto.
Due escursionisti dell’Aquila sono partiti dal rifugio “Lubrano” e saliti sul monte Prena per Vado Ferruccio. La nebbia: perdono l’orientamento, iniziano a scendere ma sul versante opposto, quello nord, quello teramano. Il panico: uno dei due cade da un salto di roccia, si ferisce e non potrà più muoversi. E infine la nebbia e non solo: scariche impetuose di nevischio avvolgono la montagna e quando scende la prima notte quell’anfratto a quota 2400 metri, tra le rocce dei pinnacoli e torri, dove si rifugiano è diventato una prigione imbiancata.
”Per cinque giorni mangeranno la neve – dice Corsi – e il sale che stranamente si portavano dietro, ma sarà una risorsa per loro, che li tiene in vita”. Parte il segnale di soccorso nella città dell’Aquila. Le ricerche vanno avanti per 12 ore, dal primo giorno, da entrambi i versanti, con una imponenza di uomini e mezzi di soccorso. Qualcosa si muove in alto. “Per radio abbiamo sentito una segnalazione che qualcosa si muoveva proprio nel versante teramano. Arrivati a Santa Colomba – prosegue Corsi – cresta cresta abbiamo scoperto che era una pecora smarrita e quasi assiderata scappata da uno stazzo di fondovalle”. Le ricerche continuano.
“Sotto il Brancastello – continua Corsi – incontrammo anche quattro lupi avvistati a pochi metri. Poi abbiamo trovato l’auto dei dispersi alle pendici di monte Prena e ispezionato con le pattuglie il vado, il passaggio”. I giorni trascorrono: è il quinto. L’avvistamento. Una voce chiede aiuto tra le balze e i torrioni calcarei in vetta, una squadra la sente; si organizza il recupero e infine avviene il contatto con i dispersi. Uno dei due è grave, non può essere trasportato in barella lungo i canaloni per la quantità di neve che si accumula. Bisogna tentare un ancoraggio, con l’elicottero, fin sopra alla quota dove sono rifugiati. Si pianifica l’operazione. “Abbiamo dovuto costruire con le pietre un punto di appoggio, una sorta di muretto, un gradone su un dirupo, lavorando con le piccozze tra il ghiaccio, e in fretta, perché era l’unico modo per far poggiare il pattino dell’elicottero e così imbarcare il ferito”, conclude il racconto Corsi.
L’elicottero sbattuto dalle raffiche di vento tenta più volte l’avvicinamento e la differenza la fa l’abilità del pilota; al limite di sicurezza si appoggia con un pattino sul muretto, lo sportellone si apre e in pochi secondi il ferito viene issato a bordo prima che le condizioni metereologiche precipitino definitivamente. Il compagno, infine, verrà portato fino a quota 1600 metri su un ripido sentiero protetto da quelle ombre silenziose che, insieme alla notte, scendono, si ritirano e scompaiono…
Le fotografie.
Il Sagf dell’Aquila nelle immagini tratte del libro “ Gli uomini e la montagna”, testo e fotografia di Vincenzo Battista, testimonianza Folco Quilici. Edizione Guardia di Finanza, Roma