I camosci e la caccia sul Gran Sasso d’Italia.

Fotografia di Vincenzo Battista.

“Fra gli altri animali – Anton Ludovico Antinori (L’Aquila, 26 agosto 1704 – L’Aquila, 1º marzo 1778), arcivescovo, storico ed epigrafista italiano – in tal monte e nel più alto e nei vicini, ove sono più balze erte v’è il Camoscio e Camozza, cioè la capra selvaggia, detta da paesani Camorcio e Scamorsio. È simile alla capra, per un poco più grossa, ha il colore rossardo o di creta. Le corna sono ritorte in avanti, nel che e diverso dalle capre comuni. È timido, vigilante e corridore. Va unito, così vivono per lo più in truppa fra loro, mentre pascolano per lo più uno sta all’erta. Ogni piccolo rumore fa fuggirli. Quel che sta alla guardia forma un fischio dando fiato alle narici dalle quali tramanda un suon simile al fischio umano, ma più forte, udendo questo tutti fuggono pur fischiando, ma precipitatosi, e par che volino. Corrono alla balse e quindi s’aggregano per lo più ripide, ficcando le corna ove s’incontrano, e poi coi piedi arrampicano, e prendono moto per inaspicarsi più alto. Alle volte non ben arrampicando, o venendo manco l’appoggio delle corna, cadono dall’alto di mezzo, e forse d’un miglio, e si raccolgono morti, e frantumati totalmente, sicché appena la pelle può servire. Questa si concia o più grossa per farne scarpe, o più fina per farne calzoni che sian caldi, e di durata, tinta a quel colore che si vuole. Ha il camoscio un fintare delicato, e sensivitissimo e così l’udito. I cacciatori per coglierlo all’uopo hanno di tirargli il collo schioppo sempre controvento, perché se il vento tira verso essi sentono il calpestro, o qualunque piccolissimo rumore, e fuggono; o fiutano il semplice putor della polvere dello schioppo. La caccia è arrischiotissima. Bisogna andar per luoghi scoscessissimi tenendosi più colle mani che coi piedi; e per pigliarli contra vento bisogna girar miglia, di qui è che se ne prendon pochi. La carne a mangiare è delicatissima, ha sapor di selvaggina, ma più tenera, e men nauseante. Così la rende il grand’esercizio di moto che fa il camoscio; l’aria in cui dimora fredda, e purgata; e finalmente il cibo d’erbe migliori, scegliendole anzi di più, non mangiando di esse che il solo più tenero midollo. Non morde, non si difende; ma fugge sempre correndo dall’alto. Se avviene che sia ferito, e giacia non può il cacciatore andare a prenderlo dalla parte di dietro, mentre tira calci sì robusti con l’unghie caprine a i piedi, e che l’unica sua difesa, che fa per esser dati con forza, e si perché sono l’unghie affilate, e taglienti feriscono di maniera che possono far morire. Son forti sì perché fan questo, si perché non resisterebbero al gran corso e all’aggrapparsi per l’alto”.