Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La Domenica delle Palme. Nota.

Nelle prima due fotografie, “L’Entrata a Gerusalemme di Gesù” nella Domenica delle Palme. Affresco del XIV secolo, scuola senese. Terzo registro, parete di sinistra, Santuario del Sacro Speco, Subiaco. Il Monastero di San Benedetto, noto come Sacro Speco, trae il suo nome dalla piccola cavità, situata su una rupe a picco sulle gole dell’Aniene. Il complesso del Monastero di San Benedetto è sorto nel luogo del Sacro Speco, la grotta nella quale il Santo visse in penitenza ed in contemplazione nel VI secolo.Il cavallo e la pupa.

I dolci della Pasqua.

Il cavallo – ragazzo, prima dell’avvento delle macchine…, cioè la forza lavoro, ma posseduto da pochi il quadrupede, e poi segno di nobiltà…; la pupa – donna, invece, il suo domicilio nel focolare, in una società preindustriale. Il cavallo aveva sette zampe (lo capiremo), come nella pupa l’aggiunta dell’uovo della fecondità, nel ventre. La donna, il suo perimetro spaziale è dentro la casa patriarcale? Sì, accudire i figli, generarli, cucinare e dopo niente, per decenni e decenni niente, senza via d’uscita per parafrasare Ignazio Silone. Questo un quadro d’unione, ma potrebbe essere più espanso, dilatato, interessare “l’infinito” che si apre e accoglie il “messaggio”, un messaggio in un viaggio lontano. I “mittenti”: i due pani cerimoniali della Pasqua che interessano ancora piccole comunità individuabili in Italia. Certo, se questo “messaggio” potesse, immaginiamo, in una iperbole, viaggiare alla velocità della luce e, al ritorno, sulla terra, sarebbero comunque trascorsi migliaia di anni, a chi racconteremo quello che hanno visto, il cavallo e la pupa di pane dolce, questo archetipo dell’umanità che ha la sua origine in migliaia e migliaia di anni fa, e come verranno accolti al rientro sulla terra, del loro infinito…! Resta il “pensiero”, l’intenzione, immateriale, del “messaggio” lanciato, in un parallelismo come abbiamo visto, nel tempo e nello spazio, ma adesso è, nelle società locali, la quotidianità come semplice codifica e decodifica dei simboli (i bambini guardavano i pani dolci, e quindi capivano, dovevano accogliere l’investitura che ricevevano). Poi il ruolo nella stessa pupa, e del cavallo nel proprio mondo intimo e nelle intenzioni di chi creava le forme oniriche – poter sognare – (matasse impastate lasciate riposare un giorno e una notte e poi segnarle con la croce, infine cotte), per proiettarle oltre la società contadina come messaggio subliminale, sappiamo, in assenza dei mezzi di comunicazione, poiché le pupe e i cavalli divenivano un vero e proprio social, una piattaforma che emanava segnali dai borghi, anche i più distanti, un “media” del ‘900 proviamo a pensare. Comunità isolate, sconfortate e fatte di un niente, di autoconsumo e preindustriale come detto, e se a questo sommiamo l’Appennino, ebbene l’isolamento era servito. Certo che i pani si possono mangiare nel rito che si compie della Pasqua, ma poi il “sublime” nella creatività che evocano solo a guardarli, i feticci così, come sono definiti (forme tribali), di una religiosità primitiva (vissuta dalla Chiesa con qualche imbarazzo). Ma, tuttavia, forme creative naif, quindi, che si iscrivono nel pane dolce augurale di buon auspicio, che oggi “galleggia…”, non è facile trovarle, e sembrano estinte, ma da qualche parte forse mantengono il proprio paleo – primato. Il cavallo di pane dolce e la pupa avevano le sette zampe e gambe ma erano di carta, appese nelle cucine, e queste, dall’inizio della Quaresima (rinuncia al lusso e all’abbondanza di cibo), si staccavano una alla volta, fino al Giovedì Santo e infine a Pasqua: forza e coraggio, quindi, “sbocciavano” come un rito ludico per i maschi, i Juvenilia dei Romani (se ne è occupato G. Carducci). Pascoliana è la donna invece nell’affetto familiare domestico, mentre la pupa con l’uovo sodo sul ventre, è sinonimo della fertilità. I pani dolci cuocevano nel piano del camino, si coprivano con i tegami in rame della dote, e la brace intorno: tradizione? Facile derubricarla così, certo che no, come abbiamo visto, ma molto di più, sì, molto di più…

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