Testo e fotografia Vincenzo Battista

I nativi, la loro identità, un’eredità in primo luogo spirituale nei valori e nelle virtù di appartenenza, e poi nei rapporti sociali, che si mantengono, lo vedremo, tra la comunità di Arischia e il bosco del Chiarino, reso quasi animato. Inoltre, non sapremo mai come i ragazzi della scuola media “Patini”, ma residenti ad Arischia (AQ), hanno raccontato loro stessi nativi, immaginiamo, nei compiti assegnati dai prof. al rientro dalle festività di Natale. I nativi, quindi, per usare un eufemismo, li ho incontrati nel rifugio “Fioretti” (1500 m.), pendici meridionali di monte Corvo – Chiarino, portati fin la lassù dai genitori. Nell’immaginario collettivo, questo luogo è avvolto dal fitto bosco e suggerisce che lì qualcosa si muova, rimandi a una dimensione di mistero nella narrazione letteraria, pullula di fiabe e racconti, paure e mistero dentro quel silenzio in cui ci si perde e ci si ritrova. Ma il bosco, per le genti di Arischia, gli antenati dei nativi – e loro lo sanno bene dai racconti dei genitori – è andato ben oltre quella letteratura fantastica, in un’epoca di schiavitù e miseria, diritti negati e proteste, duro lavoro in una economia nelle risorse disponibili. Il bosco del Chiarino era l’unico sostentamento nella secolare esistenza delle famiglie in quelle deboli potenzialità autosufficienti dell’Appennino. È questo lo snodo pedagogico, l’incipit, l’inizio di una narrazione intorno al rifugio “Fioretti”, una narrazione mai scritta per altro, ma che viaggia e si tramanda con le parole, che sono lì, in quei dintorni nella montagna dagli antenati, e dal loro epico lavoro, memoria sedimentata come se questa si inoltrasse tra le folte faggete, infine, arriva, ai giovani nativi…