I simboli della sapienza dei Re Magi. La narrazione, la leggenda.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Il viaggio alchemico dei Re Magi, parola persiana che significa “Il grande”, per loro, taumaturgi del divino, volge al termine; hanno portato con sé i misteri, di stirpe regale, che simboleggiano la sapienza, l’equilibrio, il potere per il ” Nato Gesù in Betleem di Giuda, al tempo di Re Erode. Ecco dei Magi arrivarono dall’oriente a Gerusalemme, e chiesero: Dov’è il Re dei Giudei nato da poco? Perché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo” – racconta S. Matteo, l’unico evangelista che narra l’avvenimento, ma si tiene distante dalla descrizione dei Magi, forse perché appartengono ad una tribù esoterica, secondo alcune fonti, stanziata nella regione dei Medi, nell’odierno Kurdistan, trasformata in casta sacerdotale, custodi e ministri del culto persiano del fuoco sacro, saggi dalle ampie conoscenze scientifiche, astronomiche, ma soprattutto indovini. Il loro numero resta un mistero, anche se nei vangeli i doni ampiamente citati sono tre, successivamente associati ai tre donatori, Magi o maghi, chiamati “Re” nel VI secolo dal vescovo di Arles, Cesario; mentre un secolo dopo Beda il Venerabile, il più grande erudito dell’Alto medioevo, definì“ in Gaspare, Melchiorre e Baldassarre i loro nomi, nonché l’età (giovane, uomo, vecchio) e, nell’VIII secolo fu la volta delle aree geografiche di appartenenza: Europa, Asia e Africa dettate dalla presunta universalità del messaggio cristiano nel mondo allora conosciuto. Poi le leggende. L’imperatrice Elena, madre di Costantino, custodì le reliquie dei Magi, inviate in dono a Milano; Raniero di Dassel, arcivescovo di Colonia, successivamente le fece trasportare nel duomo germanico. Il mito dei Magi quindi si espanse, prese varie fisionomie, si modella  e nella voce del narratore assunse dimensioni e peculiarità “regionali”, mitiche, come nella fiaba raccolta nel 1883 dal folclorista Antonio De Nino nell’Altopiano delle Cinque Miglia, dove si parla anche di scamorze, caciocavallo e mandrie di pecore nell’ambiente dei pastori transumanti nelle fiabe di Natale, dentro l’essenza stessa della narrazione, il racconto come metafora, la parola che vuole educare e si fa mito: l’unico modo per prendere la cometa di Halley, insieme ai software astronomici che ipotizzano la sua presenza nei contesti della volta celeste di quel tempo, e portarla infine su una mangiatoia. “Da lontano, un’umil capanna si vedeva risplendere. Il Bambino Gesù stava con l’asino e il bue. La Madonna e San Giuseppe lo contemplavano, e lo baciavano ogni tanto. Vennero i pastori. I donativi si sprecavano: chi portava una pecorella, chi un caciocavallo, chi le scamorze, chi una cesterella d’uova. Ecco che arrivano anche i Re Magi. Erano tre: uno portava oro, uno incenso e uno mirra. Dovevano offrire questi doni al Bambino Gesù. Per via, i Re Magi litigavano fra loro; poiché non erano d’accordo a chi doveva essere il primo a presentare il dono. Il primo voleva essere quello che portava l’oro. E diceva:” L’oro è più prezioso della mirra e dell’incenso: dunque devo presentarmi io, per prima”. Gli altri finalmente cedettero. Quando entrarono nella capanna, il primo a farsi innanzi fu dunque il re con l’oro. Esso s’inginocchi˜ innanzi al Bambino; e appresso s’inginocchiarono i due coll’incenso e con la mirra. Gesù Bambino mise la mano sul capo al re che gli offerse l’oro, come se volesse abbassare la sua superbia; rifiutò l’oro; e accettò soltanto l’incenso e la mirra, dicendo:” L’oro non fa per me!”. Quando il re con l’oro si rizza in piedi, era diventato nano. E ben gli sta’! A quel superbo, ci voleva una lezione”.