Il 23 ottobre e i demoni in agguato. L’esorcismo nella piazza di Aquila. L’insidia del “male” e l’ultima battaglia…

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La pittura e la sua narrazione. La piazza di Aquila, la facciata romanica con i tre rosoni ( in una nicchia il monogramma ideato da San Bernardino, nero dipinto ),il portale a tutto sesto in pietra incassato con profili multipli, ancora nella facciata colonne a lesena e cornici decorative, un avanzo di colonna classica su un podio, il popolo sui banchi allestiti davanti l’edificio sacro composto e assorto ascolta, due giovin signori di spalle riccamente abbigliati commentano nella loro gestualità ma, i capelli sparigliati e disfatti della donna dal volto atterrito con le braccia respingenti il maleficio, e l’uomo che guarda spaventato il demone nero sulla sua testa quasi a volersi infine arrendere, sono il “fuori onda” di una giornata inizialmente dedicata alla predica, ma trasformata nei cosiddetti “posseduti”, entrambi “on line” ( in diretta), dal diavolo imperante che aleggia nella stessa piazza, spiriti malvagi che depongono del libero arbitrio e vogliono espugnare e impadronirsi delle anime di Aquila. L’esorcismo è adesso, pubblico, qualcuno lo intuisce e si distrae dalla predica, si guarda intorno incredulo da quanto accade, ma poi è Giovanni da Capestrano con l’icona sacra del monogramma bernardiniano alzata e il volto emaciato (osserva i fedeli), a fronteggiare la pratica della magia occulta di quei corpi neri volatili inquietanti che volteggiano sulle teste. Giovanni non si scompone, mostra e sorregge tra le mani la formella in legno che fu di San Bernardino da Siena ( conservata nel museo di San Giuliano – L’Aquila), questa, focalizza il campo visivo scenico, fenomenologico, l’icona assume importanza: è fondante per l’intero impianto narrativo. È lui, Giovanni, in definitiva, santo in vita già con l’aureola, che si vuole contrapporre al maleficio incombente sopra la città, porre una barriera. Anzi, è “fermato” visivamente nella pittura, come un’istantanea e rivolge lo sguardo a chi osserva il quadro, un fotogramma in definitiva, fermoimmagine di una moviola: “sacra”. E se fosse di aiuto, sembra dire la pittura, sul sagrato della chiesa romanica è presente un paggio guerriero (una sorta di guardia del corpo ma anche un monito…) con un enorme scudo ancorato alle sue spalle, a fianco di Giovanni da Capestrano, mantiene una lunga spada posta in evidenza. Traduzione: sì, lo Spirito Santo, sì l’aiuto divino ma senza dimenticare, anzi sono da affiancare, necessarie (come vedremo), le armi da taglio, le armi bianche nella lotta contro il male… Questa descritta (la predica di Aquila titolo della tavola), è una formella laterale di quattro (centrale la tavola rappresenta San Giovanni da Capestrano con vessillo crociato e il monogramma bernardiniano; nella mano sinistra mantiene il Vangelo. Le altre tre : Battaglia di Belgrado, Messa sul campo, Morte del santo), tutte eseguite con tempera su tavola, datate 1480 -85, esposte nel museo Munda – L’Aquila, attribuite al Maestro delle storie di San Giovanni da Capestrano, alt. 177, largh. 193). Ma che cosa era accaduto 30 anni prima? Vediamo. Apparizioni, infausti presagi, di morte, si scontrano però, con immagini profetiche, consolatrici e rassicuranti. Segni premonitori, presentimenti della vittoria rappresentazioni divinatorie presto disegnano, tratteggiano, la calotta di Belgrado, la irradiano di una geometria soprannaturale, e si susseguono, continui e rigorosi, incalzanti, sopra l’empireo della battaglia, imminente. Scie di comete che sfrecciano nella volta celeste, visioni del cielo, sole e luna che combattono tra loro, la luna e le stelle si slanciano contro il sole: il sole è vinto, l’abisso evoca l’abisso: è l’Anticristo, che così si distende, prende posizione infine, si prepara… sulla pianura tra il Sava e il Danubio dove dilaga. Ma solo alzando la testa dalle mura merlate della doppia cinta fortificata di Nàndoralba, oggi Belgrado, si può guardare appunto l’Anticristo: bianche tende come neve che rivestono tutto il paesaggio si perdono all’orizzonte, coprono il visibile insieme ai carriaggi di guerra, e il fluttuare delle bandiere variopinte intorno alla magnificenza del padiglione del Sultano Mehmet II con la sua insegna verde svettante, i cinquemila giannizzeri della guardia d’elite e le migliaia di spai, carri di legno, bronzo e ferro che trascinano l’artiglieria e le macchine da guerra, oggetto queste di meraviglie e di stupore; cammelli, buoi, bufali in massa imponenti sotto le mura e una sorprendente quantità di cani destinati a sbranare i cristiani, dai latrati sempre più opprimenti, insopportabili, che arrivano fin dentro la città assediata; artiglierie con 200 cannoni e 20 bocche gigantesche che potevano contenere un uomo, e poi le catapulte che lanciavano pietre tanto grandi che una persona non era in grado di abbracciarla, per sbriciolare le mura di Belgrado. Ultimo atto di forza questo tra Occidente e Oriente la sera del 22 luglio 1456, l’ultima difesa contro i “Turchensi” per proteggere il patrimonio bizantino dalla diffusione ottomana nell’occidente degli stati. Giovanni da Capestrano è nel combattimento di Belgrado. Giurista, colto predicatore itinerante e arruolatore dell’Armata Crociata, francescano, della croce tau, Giovanni soldato – guerriero delle milizie, carismatico, “Salvatore della civiltà cristiana” scrivono i suoi seguaci, grande organizzatore dall’eloquenza travolgente così è ricordato, “l’Apostolo della missione impossibile”, testimone delle prodigiose apparizioni di immagini di morte e profetiche prima della battaglia sul cielo di Belgrado come è stato scritto, icona vivente del “bene sul male”, indicato dal popolo deus ex machina della Guerra Santa, e vincitore infine, con i cristiani, dello scontro di Belgrado, prima della sua morte avvenuta il 23 ottobre 1456 per fatica, stenti e malattie. “fra Zuan da Capistrana con un crocifisso, diede dentro alli nemici” è scritto nella “Historia Turchesca”. In un antico codice a Parigi, invece, sono raccolti gli oltre 2000 miracoli verbalizzati da testimoni e così documentati, mentre a Capestrano, sotto le mura del borgo, in un’aia, si conserva una pietra concava dove il giovane Giovanni mangiava, e qualcuno tornerà a toccarla, il 23 ottobre, anniversario della morte, questa volta sotto il cielo dei pellegrini e dei predicatori sull’antica Via degli Abruzzi.

Monogramma Bernardiniano: immagine a cura del convento San Giuliano, L’Aquila.