Testo di Vincenzo Battista.

Salirono le scale in un trambusto inspiegabile, e poi quasi buttarono giù la porta dell’appartamento, che si aprì, e dietro, possiamo immaginare, quasi esterrefatto, sbigottito per chi aveva potuto osare tanto, lo zio di mio padre: mons. Pancrazio Colantonj (nato il 21.6. 1880 a Santa Maria del Ponte – frazione di Tione degli Abruzzi – AQ – morto a Roma nel 1968). Davanti a lui i fascisti, nella lancetta del tempo che torna indietro ma di fondante attualità in questo 25 aprile… Carlo Levi, invece, deportato dai fascisti al confino politico tra il 1935 e il 1936, in Basilicata, nel suo romanzo “ Cristo si è fermato ad Eboli”, scrive la sua esperienza  davanti a un giovanotto, il Podestà, con la faccia tonda e gialla da luna piena, i capelli unti che gli piovono sulla faccia e gli occhietti neri maligni, pieni di falsità e soddisfazione sulla faccia, gli stivaloni, le brache a quadretti e giocherella con il frustino…Ma torniamo a mons. Pancrazio Colantonj, (Cappellano presso la Basilica di San Lorenzo a Roma, Grande Invalido di guerra), professore di Biologia presso l’università di Siena – RR Istituti Biologici nel 1916, intellettuale antifascista, oppositore del regime di Mussolini, ebbene, quando la porta del suo appartamento a Roma si aprì, la furia fascista non ebbe nessun ritegno nella misura dei comportamenti verso un sacerdote, maltrattato e infine obbligato ad ingerire una gran quantità di olio di ricino, in quella che veniva chiamata allora “la purga del sovversivo”, strumento di tortura fisica e psicologica impiegato dalla Milizia Volontaria per la sicurezza Nazionale, le Camicie Nere. Per gli ebrei, viceversa, un altro “trattamento” prima della “Soluzione Finale”, come si legge nel documento redatto da Adelchi Serena ( L’Aquila, 27 dicembre 1895 – Roma, 29 gennaio 1970) , segretario del Partito Nazionale Fascista, che non ha bisogno di commenti…