Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Il bianco e nero delle immagini proposte – siloniane – proviamo a pensare (datate intorno al 1986, pendici dell’Eremo di Celestino V sul Morrone), sono quella società di uomini e donne che lui incontra, tutt’uno con le case e gli intonaci, la campagna, l’allevamento, gli anfratti, le forre, terra secca e scura, e poi ancora rocce, dirupi e abissi della montagna. È come se questo paesaggio in bianco nero si sia trasformato in un presepe, con le connotazioni formali dei personaggi, ma in una visione parallela al mondo siloniano che lo rappresenta ancora, a distanza di otto anni dalla sua scomparsa (28 agosto 1978): le fotografie dei gruppi familiari, il lavoro e le giornate nei campi, le favole e i miti, i racconti dei protagonisti, il culto e la dignità della casa contadina. Ignazio Silone: “Ormai è chiaro – scrive nell’introduzione dell’ultima opera letteraria “L’Avventura d’un povero cristiano” – che a noi interessa la sorte d’un certo tipo di cristiano, nell’immaginario del mondo, e non saprei scrivere d’altro…”. La sua “insofferenza” è genetica, è di sostanza, pura, incontaminata nella sua morale, mentre ricerca le radici cristiane, l’insofferenza è il lamento intellettuale verso l’arretratezza sociale voluta contro gli uomini, Silone non sa darsi pace di come questa possa essere sfruttata, maltrattata, vilipesa, fino a toccare il punto più basso antropologico dell’essere umano e del proprio sé di cui non resta nulla, oltre la passività, il conformismo dell’apparato clericale (messo sotto osservazione da Silone). Ma poi quelle radici cristiane della solidarietà, che tracciano un solco nella cultura popolare a cui apparteneva lo stesso Silone, sono tutte in questo racconto:” Vi era in Abruzzo qualche antica usanza natalizia di cui non conoscevo l’origine. Quando, dopo la messa di mezzanotte, si tornava a casa, nostro padre lasciava socchiusa la porta d’ingresso. La mamma ci spiegava che, da mezzanotte, la Santa Famiglia vagava per il mondo per sfuggire ai terribili soldati di Erode che avevano l’ordine di uccidere il Bambin Gesù. Bisognava dunque che, in caso di pericolo, la Santa Famiglia potesse, senza perdere tempo, rifugiarsi nella casa più vicina. Per questo la porta doveva rimanere aperta, il camino acceso tutta la notte e la tavola apparecchiata, con buone provviste. La nostra notte di Natale trascorreva di conseguenza nell’insonnia e nell’ascolto più ansioso. Il minimo rumore ci faceva trasalire. Non era necessaria una grande sensibilità per commuoversi all’idea che Maria e Giuseppe col Neonato stessero per rifugiarsi in casa nostra. Se ne riceveva un’impressione che probabilmente avrebbe lasciato una traccia per tutto il resto della vita”. Una Chiesa, oltre la cultura popolare, che restò impassibile in nome del cristianesimo. Ha girato per decenni la testa contro i disordini sociali, i tradimenti, le violenze del potere contro gli ultimi, come narrato da Silone, fino a papa Francesco, lui, è in un altro paradigma, un nuovo modello di riferimento come vediamo tutti i giorni del suo pontificato. E adesso provate a pensare se questa citazione di Silone non appartenga al nostro tempo, e forse vive intorno a noi: “Non dobbiamo temere quelli che hanno il potere di offendere il corpo, ma quelli che distruggono l’anima…”. Quando il dolore degli sfruttati, dei sottopagati, dei maltrattati nel lavoro; quando il dolore dei diritti negati, delle umiliazioni subite, ancora oggi, nel mondo delle relazioni hanno qui il loro dove, che insiste, in una moderna schiavitù istituita, tra di noi. Il dolore delle donne soccombenti, nei luoghi di lavoro che spesso pagano con la morte la loro timidezza e la vergogna per affermare i propri diritti nel mondo del lavoro senza tutele e dei giovani vessati tra il web e solitudine. Ecco, è come se l’anima più pura di Ignazio Silone dialogasse con loro, cercasse risposte, afflitta, ma immensa, nelle contingenze delle persone del nostro tempo. È l’anima che osserva i dolenti con lo sguardo incorporeo, osserva il mondo dimenticato delle periferie abbandonate senza diritti, il mondo dell’ingiustizia e della guerra contro gli indifesi, dell’oppressione fino a sfiorare la tirannia per la ricerca del profitto senza che nessuno controlli la deriva di quella presunta umanità nei campi di raccolta dimenticati e non più appartenenti allo Stato, lì gli extracomunitari, gli stessi dei barconi, uomini disumanizzati nella loro condizione innaturale. I neonati nati nell’attraversamento del mare, bambini affogati e spinti dalle maree sulle spiagge come fagotti, come relitti di un mondo che vorremmo scaraventare lontano, ma ci appartiene, intorno a questo Natale…