Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Museo Nazionale Palazzo Altemps- Roma

Il condottiero galata suicida con la sua compagna, lo potremmo oggi definire un femminicidio. Il Galata Ludovisi, così citato, è stato rinvenuto negli Horti Sallustiani sul Quirinale. Il guerriero nudo con un manto corto dietro le spalle che si muove e ondeggia nella gestualità ultima della posa plastica, considerato l’uomo di alto rango, con una postura elegante e composta nel suo atto fatale e cruento, impugna la spada nel momento che questa inizia a trafiggere e penetrare con la lama il petto del personaggio. Il capo è girato sulla spalla destra e proteso verso l’alto quasi a cercare comprensione verso i suoi dei, mentre il volto è determinato nel compiere l’azione. Il baricentro della scultura è ricadente sulla gamba sinistra di appoggio. Il volto del galata ha tratti morfologici eleganti e privi di emotività. Sulla destra ormai il corpo della sua compagna, la donna vestita con una tunica e un mantello frangiato, morente, uccisa dal galata suo compagno, si abbandona appena sorretta all’avambraccio dell’uomo e dalla mano che la mantiene in modo delicato. Le due azioni veicolano il gruppo compositivo dei corpi autonomi ma messi in relazione e dialoganti, riferiti alla scultura ellenistica, da cui ha preso ispirazione l’autore dell’opera. Il gruppo è possibile osservarlo da diversi punti di vista. A terra lo scudo e il fodero della spada. La fisionomia del galata: baffi, folta capigliatura, le ciocche riunite che richiamano quelle dei Galli che si battevano in guerra con la calce e acqua nella capigliatura. Le donne partecipavano ai conflitti, incitavano gli uomini guerrieri a combattere. La scultura è da considerare un monumento commemorativo di una vittoria su una popolazione di stirpe celtica stanziata nell’Asia Minore intorno al 279 a. C. Il gruppo statuario non è solo dei vinti a cui sembra rendere onore e merito, ma molto di più nella sua plastica narrazione poiché il suicidio, si trasforma, con la compagna del condottiero, nell’idea dell’estinzione etnica e sopratutto nel potere di Roma su gli sconfitti suicidi, ma senza l’intervento dei centurioni. Il furore del messaggio subliminale nella narrazione dei romani, senza pietas, senza misericordia ma solo nell’oggettiva visione dei perdenti che si estinguono nella loro solitudine. Preferiscono il suicidio piuttosto che servire Roma, diventare schiavi, e secondo la dottrina romana questo rafforza il predominio delle legioni, ecco senza citarle visivamente nella scultura. Le legioni e la forza d’urto: una perfetta macchina di guerra a cui la massa marmorea rende omaggio in un linguaggio da interpretare e decodificare.