Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Per scegliere questo suo sito (alziamo gli occhi ed è davanti a noi, ma certamente non è stato facile da raggiungere e poi individuare) poiché, definirlo angusto e inaccessibile, è palesemente un eufemismo, ma tant’è in quello “spirito” (non possiamo che pensare ad altro) che ha guidato un giovane eremita chiamato Bonanno giunto in un mondo sconosciuto nel suo fine e non c’è l’oltre… no, ai confini di una mappa geografica. Lo spirito, quindi, “l’età dello spirito” profetizzato dall’abate Gioacchino da Fiore nel XIII secolo e, in ”quell’editto” la Conca aquilana, nelle sue cenge e pinnacoli inarrivabili, veniva occupata da altri eremiti. Luogo inospitale dove ci troviamo, incomprensibile dimora notturna, sito elettivo per lui, Bonanno, infine così scelto, e lo vedremo, considerato che siamo nei primi anni del secolo XIII secondo alcune fonti storiche, con tutto quello che ne consegue in termini di valore della vita. Non gli è stato sufficiente al “solitario” la dolina di “Spedino” (nell’altopiano carsico di Roio – L’ Aquila ) così chiamata. Forse si sarà affacciato sull’orlo in una panoramica visiva della contemplazione, poiché parleremo di questa, ma è voluto scendere nelle profondità della forra di “Spedino”: un enorme sprofondamento del suolo, verticale nelle sue falesie, brecciare formate con lo scivolamento dei detriti di roccia che formano coni di deiezione che scendono, accumuli di materiale detritico millenario, vegetazione appenninica che ha colonizzato persino le pareti e il fondale di questo enorme cubo espulso, come se un’entità soprannaturale lo abbia tagliato e asportato dalla catena montuosa che da lì si innalza per Monte Ocre, tanto è considerato “Spedino” inusuale e geologicamente ancora enigmatico. Beato Bonanno, è lui sull’orlo del precipizio, quindi, ma prima è monaco nel monastero benedettino di San Lorenzo delle Serre a Roio, citato da L. A. Antinori (L’Aquila, 26 agosto 1704 – L’Aquila, 1º marzo 1778, arcivescovo, storico ed epigrafista italiano). La contemplazione spinta nella vita eremitica, un vortice di penitenze e digiuni in una grotta posta alle pendici di una falesia di circa 80 metri, appunto dentro la forra. Una caverna nella voragine inquietante di “Spedino”, e per arrivare fin lì non c’è che pensare quale fosse il Medioevo intorno al perimetro umano ed esistenziale del Beato Bonanno in quell’area geografica, e dagli insediamenti umani rarefatti del pagus di Roio. Il Medioevo degli eremiti, un fenomeno che dobbiamo considerare colto, raffinato per il linguaggio filosofico che esercita: si diventa così spirituali, cioè margine, esclusione e distacco dal mondo, ricerca della perfezione. L’anacoreta e il suo indumento si trascinano nella penitenza, digiuni e preghiera poiché non ci può essere altro nella cavità dove Bonanno visse, che così dal fondo di “Spedino” si rivela in tutto il suo arcano e misterico insediamento umano. L’eremita ascolta il silenzio. La grotta è stata scavata (circa 9 metri e si cammina chinati), inizialmente cavità naturale, sono state aperte le anse e una nicchia, dove ci si coricava, nella roccia friabile, e un enorme rialzo all’ingresso che bisogna superare carponi, una sorta di sbarramento, per proteggersi dagli animali attirati dalla carne umana. La grotta si insinua nella roccia, gira sinuosa in un tratto nell’oscurità più assoluta per aprirsi poi in una apertura a strapiombo sullo spettacolo ambientale di “Spedino”: dal fondo lo skyline, rivela, che spirito eremitico lui cercasse, inconfessabile: il ventre della terra. Ma il tempo e lo spazio sappiamo si dilatano per poi ravvicinarsi, ed è così che Celestino V (santo eremita del Morrone) e il beato Bonanno si compenetrano nella Perdonanza Celestiniana quando, scrive l’Antinori, nel Settecento, dalla torre di Collemaggio, l’urna contenente le reliquie di Bonanno veniva mostrata, il 29 agosto, anch’essa per l’indulgenza. Il tempo e lo spazio…

Con noi, a “Spedino”, Gianfranco Francazio, Italo Tobia.