Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Il Mammut tra il pascolo e la lotta nella Conca aquilana: dalla stella Sirio, osservato…
Testo e fotografia Vincenzo Battista.
Se fossimo seduti su una panchina della stella di Sirio che cosa vedremmo… E’ la più luminosa, si può osservarla dalla terra ancor meglio nelle notti gelide e buie di dicembre. Sirio è una sorta di dettato religioso tra alchimia e fede - presente in tutte le civiltà precristiane -, è astro esoterico, disciplina ancora oggi gli insegnamenti per le società segrete in cerca del potere divino per il raggiungimento della perfezione, il paradigma in una sorta di Santo Graal della sapienza e della vita eterna. E’ stella fiammeggiante Sirio nella percezione della calotta del cielo, che vibra, emana impulsi ottici continui, con il suo bagliore bianco – celeste è appunto subliminale, provoca l’inconscio, appartenente alla costellazione del Cane Maggiore. Se fossimo seduti su una panchina della stella di Sirio quindi, che cosa vedremmo, è poiché non ci ne sono altri modi, dalla stella Sirio, ci dobbiamo accontentare: la terra è il nostro obiettivo, apparirebbe lontanissima, scrutandola… a 8,6 anni luce di distanza dalla nostra panchina, e poi, la sua immagine che ci arriva, la luce della terra per intenderci, è un ritorno al passato non al presente come emotivamente possiamo pensare. Quella luce si è messa “in cammino” milioni di anni fa, e pertanto, se la luce viaggia ad una velocità finita, tutto quello che ci arriva dalla terra è stata emessa indietro nel tempo, molto indietro nel tempo, e per giungere infine a noi su Sirio, in quella panchina, impiega appunto un tempo dilatato nello spazio (La teoria della relatività di Einstein ha stabilito la velocità della luce come un limite assoluto nella natura dell’universo, con evidenti implicazioni e ragionamenti, a cui non siamo abituati, per il nostro modo di comprendere il movimento e il tempo…). Ecco, il passato è il nodo da sciogliere, migliaia se non un milione di anni, pensiamo, sotto forma di una immagine che ci viene incontro, mentre guardiamo dalla panchina di Sirio la terra che lentamente si “apre”, s’ingrandisce il pianeta, si dilata nell’emisfero boreale, l’Italia fino a percepire, tra le conche aquilane (così come oggi le chiamiamo o meglio il lago pleistocenico prosciugato), il nostro focus finale, il nostro obiettivo: dove pascola il Mammut, sì il Mammut, ma non solo lui. Adesso ci “fermiamo” ad “osservarlo”, siamo intorno a un milione e trecentomila anni, nel Pleistocene inferiore per approssimazione, direi non male da Sirio… Poi, insieme al Mammuthus meridionalis dal peso di 11 tonnellate così messo a fuoco ( il doppio di un elefante asiatico) avremmo visto ippopotami, rinoceronti immergersi nelle paludi del fondo valle, i terrazzi del paleo – Aterno e i bacini lacustri i predatori mammiferi che osservano e restano però immobili e impotenti dalle improbabili prede; avremmo visto lo stesso Mammut ondeggiare, coprirsi di fango negli acquitrini, muoversi lentamente, raccogliere con la lunga proboscide i rami dagli alberi e cespugli, la sua postura e le fasce muscolari sempre in tensione per tenere allertata la notevole mole di maschio adulto che controlla e vigila sulle femmine del suo clan, branchi di 9 – 11 femmine come per gli elefanti, proviamo a pensare. E poi le contese per la supremazia del territorio per non essere scacciato dal suo harem. I maschi infine si affrontano, le piccole orecchie mandano messaggi minacciosi, la testa ruota e la proboscide sale, le lunghe zanne cercano di fronteggiare la disputa mostrando la deterrenza, battono a terra la pianta delle enormi zampa, e con brevi rincorse avviene il contatto, la lotta, le pause, ancora la lotta per la supremazia. Nello scontro e come se ti venisse addosso un autotreno - pensiamo e riflettiamo da Sirio davanti a quello spettacolo -, una massa critica di circa 12 tonnellate per i maschi adulti lanciata a corpo morto di sette metri di lunghezza e quattro di altezza, zanne ricurve, che arrivano infine all’impatto con un altro esemplare di mammut proprio dritto nella calotta cranica della testa, che si scontra, con un urto violentissimo: una delle due zanne ricurve di circa 100 chili si spezza, si alza in aria ruota e poi rotola a terra, lo scontro feroce si avvia alla conclusione, ma il “Mammut aquilano”, per usare un eufemismo, non lascia il campo di battaglia sulla riva di un acquitrino, anzi può conservare il suo harem. Tutti gli animali, soprattutto le femmine di Mammut, hanno osservato lo scontro tra la polvere che si è alzata e il rumore sordo di richiami che hanno emesso i due esemplari nella lotta. Non sappiamo quando tempo passerà poi, ma sicuramente, accadrà, bisogna aspettare, perché da qualche altra stella, qualcuno, possa leggere le note dei bambini della scuola Primaria scritte e lasciate sul quaderno delle visite che, osservando il Mammut nel castello Cinquecentesco dell’Aquila, chiedono gli arrosticini e una bistecca di questa “grande mucca…”.