La tua storia dentro il fiore di zafferano – Quarta puntata.
venerdì 2 novembre 2012 06:38
di Vincenzo Battista
Mai, quella vacca, ornata in quel modo, e di domenica – nemmeno se si trattasse di Hera, divinità greca, patrona del matrimonio e del parto, con i suoi simboli sacri: vacca e pavone. (Omero la definiva la Dea dagli occhi “bovini” per l’intensità del suo regale sguardo) – con asciugamani, nastri e campane, avrebbe immaginato di attrarre tanta attenzione su di sé, in modo desueto, quella mattina del 3 febbraio 1937, festa della “Candelora“.
Ma torniamo un po’ indietro. Trentuno dicembre 1936, fiera di San Silvestro a Castelnuovo, frazione di San Pio delle Camere, altopiano di Navelli.
Casciani Armando, forse con un po’ di ansia perché è arrivato il momento decisivo, si aggira tra le bancarelle e i tipici banchetti dei commercianti di spezie, chiede il prezzo della “voce”, contratta, giura sulla qualità del suo prodotto, è alla ricerca di un buon patto di vendita. Ha deciso. I tre chili di zafferano, raccolti ed essiccati circa due mesi prima, li venderà a Cionni, mercante di San Nicandro, a tremila lire, un buon affare.
Tutto è pronto per la sfilata. I filamenti della vacca e le corde vengono alla fine attaccati al carro per trasportare la dote e soprattutto i due sposi: Belinda e Guglielmo e, dietro, nel corteo, il padre di lui, Armando, che ancora per molto ripeterà: ‘il vostro matrimonio mi è costato tre chili di zafferano. . . ‘.
Fu acquistato anche un comò, un armadio, un comodino e un lavandino di marmo, una sciarpa e gli anelli d’oro, che si potevano comprare, come ricorda lo scrittore Massimo Lely, solo con la vendita dello zafferano. Avanzarono cinque lire e con quei soldi scelsero di andare in pellegrinaggio al santuario della Madonna della Libera, a Pratola Peligna.
‘Dovevamo farci le fotografie ricordo – dirà molti anni dopo Belinda – ma abbiamo deciso di fare il pellegrinaggio, altrimenti la Madonna ci castigava . . .’.
‘Col nome di Dio’, invece – recita, il 29 maggio 1777, la ‘Carta matrimoniale’ manoscritta in Ofena – ‘di Angela, figlia di Crescenzio Silverio che si assegna per complimento di dote a Gioseppe De Croce Moscardelli pur che Dio abbia destinato. . .’. Nell’elenco, che di seguito riporta tovaglie, panni, parnanze, ‘rame novo’, conche e un caldaio, un filo di migliarini e ambra fine, due fili di perle e dopo altro ancora, la vera ricchezza: ‘due sacchi di suffrana”, i bulbi di zafferano.
I principi dei Beni culturali, contenitori della memoria, e anche del ‘paesaggio materiale’, emanati nel nostro Paese dalle identità plurali, hanno rideterminato i perimetri del concetto di cultura estendendoli oltre al sapere scientifico, alle manifestazioni artistico letterarie, al diritto e alla morale, anche agli usi locali, le favole, le musiche, le tradizioni autoctone, e in generale a tutti i modelli di comportamento acquisiti in virtù dell’appartenenza ad una società locale. Un nuovo territorio di Beni culturali così inteso, come spazio fisico e/o estetico del vivere e del riprodursi dell’uomo, del suo iter esistenziale, dalla nascita alla morte, si apre su un orizzonte come valore sociale, di interesse pubblico che ha bisogno quindi di tutela e valorizzazione nei suoi fenomeni socio economici e antropologici che lo hanno vivificato.
Un paesaggio storico dunque, questo, proteso fin dal suo documento più antico, il diploma di Re Roberto del 1317, sul commercio dello zafferano, che mantiene oggi, anche se ridotto nella produzione, le caratteristiche di centralità, di una mitica piccola patria, dalle forti identità locali, nel mare impetuoso del villaggio globale.
Riti agrari, simboli, allegorie popolari e poi un prodotto esclusivo in quanto a qualità nel panorama europeo, e documenti archivistici, oltre che Beni naturali, costituiscono dunque i riferimenti originali dello zafferano e della sua epopea in una archeologia vivente giunta fino a noi.
(Lunedì 5 novembre: la Premiata ditta Ciolina – Biaggi dell’Aquila. Quinta e ultima puntata)
Fotografie di Vincenzo Battista