Testo e fotografia Vincenzo Battista .

E se la leggenda dei cinque fratelli, ossia San Terenziano, Santa Brigida, San Pietro Celestino, San Venanzio e San Cosimo che così, in una sorta di protettorato o società ludica riunita, salvaguardavano la Conca Peligna, uniti, in un cordone profetico e apotropaico di salvezza soprattutto per le campagne (vedi la devastante peronospora dei vigneti), non erano leggenda, viceversa, i cinque pellegrinaggi devozionali negli eremi che ogni buon cristiano nel corso della sua vita dovevano compiere nelle compagnie penitenziali con gli stendardi religiosi di appartenenza e i ceri, a piedi, lungo i tragitti della fede, e in privato, alla ricerca della propria redenzione. Circumnavigare la Conca, per usare un eufemismo, fino ai siti eremitici e degli ex voto, era una sorta di editto che si tramandava da generazioni. Inoltre, è sufficiente leggere il primo d’Annunzio oppure osservare le fotografie di Francesco Paolo Michetti sui pellegrinaggi della seconda metà dell’Ottocento per averne contezza. L’eremo di San Terenziano che fronteggia il centro, un tempo marcatamente agricolo di Corfinio, è ancora oggi una sorta di totem, posto sul fianco della montagna, è l’esempio sì, di un bene culturale in disfacimento, depauperato e lasciato al saccheggio, all’asportazione persino delle cornici in pietra delle finestre e portali, oltre la profanazione di una fenomenologia dei riti satanici, la manipolazione mentale delle sette con rituali occulti e pratiche sul culto dell’Anticristo. L’impianto religioso è possente ed enigmatico per l’investimento sul pendio di una montagna, essendo costruttivo e complesso di quella cubatura architettonica che ospitava le celle dei monaci allineate nei corridoi dei due piani, e il “pantheon” tardo barocco della chiesa a forma incerta, quasi ottagonale, con una cupola alla cui base l’altare e le absidi si fronteggiano con cromature di finti marmi. Il legame con le cospicue rendite, nel 1323 è documentato con il pagamento delle decime, il tributo in grano, raccolto e bestiame nelle proprietà della Chiesa e ai suoi profitti, è la motivazione di questo sontuoso investimento religioso che nei secoli successivi ha assunto l’aspetto che vediamo, di cui restano le tracce archetipe in due esempi dei primi insediamenti in grotta: le cavità che ospitavano gli eremiti, successivamente in parte rivestite nella muratura un esempio pertanto, che rende visibili il dogma dell’eremitismo con le sue tracce ascetiche e le peregrinazioni nella montagna della Conca Peligna. La fiera autunnale, inoltre, poneva l’accento su una società rurale che aveva uno snodo temporale nell’economia agricola di Corfinio: si teneva nell’area contigua della facciata di San Terenziano, si vendevano e si barattavano i prodotti, ma soprattutto si acquistavano i maiali che insieme all’attività della viticoltura dominavano le economie familiari con i prodotti della campagna. Alcune immagini degli anni ’30 documentano la fiera con i costumi tradizionali di Corfinio indossati da giovani donne, gli stessi utilizzati durante il Ventennio fascista per la festa dell’Uva. I pellegrini entravano nel complesso di San Terenziano, sostavano davanti alla roccia delle due grotte, toccavano la pietra, restavano in preghiera e praticavano il rito dell’incubatio (è una pratica rientrante nella sfera magico-religiosa che consiste nel ricercare in sonno un contatto diretto con la divinità all’interno di un’area sacra) , come in altri eremi della stessa Conca Peligna, in particolare San Venanzio e San Onofrio – Celestino V. E se i putti in gesso, festosi e accademici di maniera, all’interno della chiesa, per quello che resta, spezzati e vandalizzati, sono tali da offrire un remake all’inno barocco e alle sue vestigia classiche, possono  essere invece la traccia di una sceneggiatura, proviamo a pensare, e può emergere, come nel film “Il nome della Rosa” nei fatti di sangue, inquietanti, accaduti e documentati nel 1589, allorché un monaco vissuto nel sito monastico di San Terenziano, un monaco eremita, fu strangolato e virilmente oltraggiato delle sue parti intime, delictum stupri, atto inquisitorio quindi. Si istituì un processo informativo ” in quel tempio della saggezza, l’arca di scienza, e quanto fosse la seduzione della carne…”, ma sappiamo, che lì, non c’era Guglielmo da Baskerville, protagonista del romanzo “Il nome della rosa”, appunto, di Umberto Eco a diramare il mistero dell’Anticristo che si era impossessato del luogo, poiché ” può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente…”.