Il sorriso del Bambino, il suo linguaggio universale.

La visita al museo Munda (99 Cannelle, L’Aquila) per osservare come l’opera d’arte diviene narrazione.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Proviamo a stringere il campo visivo, a circoscriverlo, a perimetrare un linguaggio universale, il tenero affetto del Bambino, la morfologia della sua espressione: le labbra che appena si dischiudono, i lati della bocca che si incavano quasi a modellare plasticamente il pensiero e il sentimento di gioco partecipato, i grandi occhi meravigliati in “quell’avanzamento”, chiamiamolo così, del sorriso compiaciuto ma che resta lì, bloccato dalle sgorbie a diverse curvature, per sgrossare e poi rifinire scavando il legno dolce, come un “fotogramma”.

Inizialmente è stato scolpito il tronco, e poi data forma umana, determinante, essenziale nel suo linguaggio medievale, alla scultura, appunto, del Bambino ricercata e voluta nel suo “fermo immagine”. Le doti genetiche del Bambino meravigliano prima se stesso, che sembra compiaciuto di stringere con la mano destra ripiegata all’indietro il capezzolo sporgente di una mammella poderosa della Madonna, offerente, mentre l’altra è stretta nella prima fasciatura sotto, come vuole la tradizione, compressa e, sopra, l’abito alla maniera abbigliata del XIV secolo. “La Madonna del Latte”, così chiamata, riceve sul suo ginocchio destro Gesù per l’allattamento, offre un pomo (la mela che la Vergine offre a Gesù, perché risani l’umanità dal peccato originale), ma lui continua a sorridere, ignora l’editto nel simbolo del pomo. La Madonna, nel compiere questo gesto, resta impassibile, sembra non tenere conto di quel realismo domestico di suo figlio, di quella quotidianità familiare.

Lei, infatti, è distinta e distante, con il suo sguardo imperturbabile, quasi immateriale nella sua fissità, solenne e sacrale di una devozione semplicemente pura, alta e inarrivabile, guarda lontano, preconizza, forse, il destino a cui andrà incontro il suo Bambino. Due forme di comunicazione della scultura lignea, quindi, due diverse direzioni, una dicotomia, appunto, nel manifesto sentimento umano trascinato infine nella scultura policroma consunta giunta fino a noi, da quel micro-cosmo della chiesa di San Giovanni da cui proviene, villa di San Demetrio né Vestini, tra le plaghe montuose di una improbabile Via degli Abruzzi, che proverò a raccontare ai ragazzi del liceo dell’Aquila, sì tra qualche giorno, quando si riapriranno le scuole, e poi magari portarli al Munda.

Le immagini.

La Madonna Lactans di San Demetrio ne’ Vestini e i particolari.

Nota.

Madonna Abruzzese, scultura lignea policroma, proveniente dalla chiesa di San Giovanni, Villa di San Demetrio né Vestini (AQ). In mostra al Munda fino al 29 settembre 2019.
Ambito marchigiano – abruzzese, Madonna del latte, terzo quarto del XIV secolo. Legno di pioppo intagliato, policromato e dorato. Misura cm 153 x42,5 x43.

Proviene, in prestito, dal Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma. La Madonna Lactans di San Demetrio ne’ Vestini così definita, la scultura lignea policroma del Trecento, dopo oltre 100 anni compie il percorso inverso, torna nella sua zona di provenienza, il contado, e si racconta, nell’allestimento in una delle sale espositive del Munda – L’Aquila. La mostra “La Madre generosa. Dal culto di Iside alla Madonna Lactans”.

La chiesa di San Giovanni presenta un’unica aula con quattro piccoli pilastri, con affreschi tardo rinascimentali anche di ottima fattura mentre, sull’ingresso laterale, lo stemma pontificio di Papa Alessandro III, che con bolla del 1178, concesse alla chiesa di essere associata all’Arcibasilica Lateranense di San Giovanni sita in Roma. Ha il primato della sua edificazione, si ipotizza tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, rispetto a tutto il distretto paesaggistico religioso dell’intera area geografica. L’edificio religioso è posto su uno sperone roccioso, che precipita in una forra, quasi a proclamarne il ruolo, la visibile funzione evocatrice per le genti del contado.