“Anno 1575, levammo tanto a buon’ora per l’Aquila”. Nell’acqua si versavano la menta e l’orzo tritati. Il viaggio prosegue. 

lunedì 6 agosto 2012 17:04

di Vincenzo Battista

Un sacerdote domenicano, in viaggio, nella seconda metà del XVI secolo: “Il Giovedì mattina a’ 30 di Giugno levammo tanto a buon’ora per l’Aquila che ci occorse aspettare buona pezza alla porta della città, tanto che si aprisse”, annoterà nell’anno 1575, nel suo manoscritto conservato nella biblioteca nazionale di Firenze, Serafino Razzi, per oltre mezzo secolo visitatore in Italia tra convento, osterie e agguati di briganti; tradizioni popolari, scene di sacre rappresentazioni religiose e infine disavventure che lo colpiscono, ma non più di tanto.

“E’ non è questa sorta maniera di scrivere – dirà – se non gioconda et utile. Utile poi per la cognizione di molti luoghi, e di molte città, la quale ci si acquista et impara. Sono pertanto questi nostri diari o vero itinerari.” descritti sotto forma di bozze, giorno dopo giorno, al rientro, la sera, nelle osterie, nei ricoveri, oppure nei conventi dove chiede di essere alloggiato per scrivere i resoconti dell’avventura quotidiana alla luce di fioche lampade, che illuminano però ogni particolare del suo pensiero di viaggiatore, appassionato protagonista come tanti altri, oltre il suo tempo, in quel primitivo e selvaggio senso comune dell’umanità all’esplorazione che prende forma letteraria nel resoconto del “viaggio”: scoperta emozionale, link della mente che si aprono e chiudono, menù di navigazione sempre in presa diretta, che mette in gioco se stessi in una realtà osservata sempre in movimento, appena percepita e subito mutata, sfiorata ma che subito si allontana dove le frontiere, i passaggi, le contaminazioni e le repentine trasformazioni dello spazio e del tempo risiedono anche lì, sono domiciliate in noi stessi, nel micro universo della nostra “anima”. Proprio lì in definitiva siamo diretti, in un viaggio parallelo, in un paesaggio intessuto di segni, soprattutto minori, che abbiamo l’obbligo di cogliere, al centro di straordinari, irripetibili, mutamenti: gli stati d’animo, i nostri pezzi rari, che danno vita e sostanza alla narrazione del “viaggio” con le sue meditazioni, i suoi scenari, i suoi tempi e il suo ventaglio visivo di esperienze per sua stessa natura strumento ricco di stimoli e di sollecitazioni forti per scrivere e raccontare.

E la spedizione continua. Se si viaggia in terre sconosciute, in cammino, la mancanza di acqua più che di cibo possono causare la perdita d’idratazione dell’organismo con il movimento forzato, la fatica.

L’acqua piovana raccolta dal cielo, narrano le cronache storiche scaraventate nei secoli passati, apparentemente distanti (ma non per la metafora contenuta nel film “Cast Away”, di Robert Zimeckis, con Tom Hanks), per il viaggiatore pellegrinante risulterà decisiva. Si poteva bere solo quella caduta dal cielo, oppure bisognava farla bollire con un po’ di aceto e depurarla in un vaso per far precipitare nel fondo le impurità. Si filtrava anche con una fetta di pane, oppure con la lana ritorta, travasando più volte il liquido da un recipiente all’altro. Si usava anche l’aglio cotto nella bollitura dell’acqua fino a fare rimanere la metà. Nell’acqua si versava menta tritata, poi si filtrava con un telo di lino e infine si purificava.

Altri rimedi, in mancanza d’acqua, consistevano nella preparazione di sacchetti di lino riempiti di semi freddi, succo di liquirizia, semi di mele cotogne pestati e infusi in acqua di rosata. Conservati dentro la bisaccia, per le emergenze si bagnavano, prima, nell’acqua di rosa e viola e poi venivano messi in bocca dai pellegrini tra la lingua e il palato, attenuando l’aridità e la febbre.

I poveri, invece, contro la sete, lungo i sentieri, masticavano lattuga, portulaca, acetosella miste ad erbe fresche di prati e campi attraversati, nelle lunghe litanie processionali intorno ai cippi, edicole sacre, pietre votive e infine i santuari, “segni” rivelati che indicavano la giusta missione, la certezza del pellegrinaggio, l’esatto valore del cammino, in definitiva la liberazione del male con il “Voto” che gli itineranti si apprestavano a compiere, poiché il “cammino” duro lasciato alle spalle, sofferente ed enigmatico, aveva bisogno di risposte. E l’arrivo si avvicina . . .

(Seconda di tre puntate)

Fotografie Vincenzo Battista