La battaglia per il bosco del Chiarino. Il Gran Sasso d’Italia che si racconta.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Anno 1901, Giuseppe Pelizza da Volpedo dipinge il “Quarto Stato”, olio su tela, modello divisionista, con i soggetti a dimensione reale (cm. 293 x 545. Milano, Galleria d’Arte Moderna): un’opera pittorica che produce un suo effetto in Italia, mostra nel panorama delle arti visive le aspirazioni del bracciantato agricolo e traduce, iconograficamente, la marcia di protesta dei contadini che camminano “eretti”, frontalmente, in una vasta barriera umana insieme alle donne con in braccio i bambini, passo sicuro, certo, verso le “conquiste sociali”, ” Il Sol dell’Avvenire”, si dirà più tardi. Liberati dalle paure e dalla miseria. Un’opera che veicola un “messaggio”, attraversa il Paese in una sorta di manifesto politico eletto a simbolo della classe dei lavoratori, schiacciati e vessati dai proprietari terrieri, dai latifondisti, dai nobili che oltre a possedere la terra, le case, il lavoro, stringevano a sé le anime dei contadini senza speranza, e per questi, senza possibilità di emendarsi dalla loro condizione di classe sociale. Mentre giù dall’Appennino sono “ Bestie da Soma” e  “Vanga e Latte” della seconda metà dell’Ottocento di Teofilo Patini (Castel di Sangro, 5 maggio 1840 – Napoli, 16 novembre 1906),che squarciano con il Verismo della pittura sociale, scaraventano e denunciano una società padronale e conservatrice: la vita delle donne in montagna, la gravidanza e volti segnati dal trasporto della legna, e l’altro quadro, madre e figlio neonato con un piatto di polenta, mentre un uomo vanga la terra e intorno solo sterpi e stoppie. Anno 1901, bosco del Chiarino, Gran Sasso d’Italia. Sembra di “vederle” Isabella Beccia e Maria Nurzia uscire quasi per magia dal grande quadro di Pelizza da Volpedo, nel giorno della sfida, della battaglia che annuncia la comunità di Arischia, intenzionata a lottare contro il padrone del bosco, il marchese Cappelli di Napoli, padrone del legnatico e della montagna appartenuta, viceversa, da secoli e secoli, a loro, nativi, chiamati nel XIII secolo nel contado aquilano Confocolieri ( potevano usare i terreni montuosi degli Appennini per motivi agricolo-pastorali, un  diritto riservato agli abitanti di uno stesso castrum) dell’Università del Chiarino: godevano e amministravano i diritti d’uso della montagna ” Per servirsi per gli usi di casa…”, “Per far carboni nei boschi…”. Uniche risorse naturali e centrali in una economia chiusa e di sussistenza, interna, appenninica, in grado con la vendita a malapena di sfamare l’intera popolazione del Comune di Arischia. Le due donne, quindi, nel giorno dell’arresto di 75 uomini colpevoli di aver raccolto e trasportato con gli asini legna secca dalla montagna del Chiarino, ” escono” dal grande quadro, dalla grande tela, e guidano la rivolta, la lotta di rivendicazione del proletariato agrario, fino a sfidare i carabinieri che le fermano, insospettiti, dal loro atteggiamento. Beccia e Nurzia portarono con sé dei fucili, nascosti sotto le vesti, fino al bosco del Chiarino, pronti per l’uso, per consegnarli ai loro uomini. Incontrati alcuni carabinieri in un posto di blocco, uno di essi, il più giovane, notando qualcosa di strano sotto le lunghe vesti di una delle due donne, le chiese cosa portasse lì sotto. ” Non lo vedi stu ciafregna” ( piccolo), “non lo sai che tenémo sotto le vesti le femmone?” – rispose una donna. Il carabiniere arretrò, si allontanò, forse vergognandosi, e le donne poterono superare il blocco ed entrare così in una piccola storia antologica di narrazione sociale della comunità di Arischia che non si diede mai per vinta, ci ricorda anche Abramo Colageo, ma che andrà avanti, fino alla “liberazione” della montagna, sancita nel dicembre del 1922. Scriveva in una nota del 15 giugno 1901 il giornale “L’Avvenire” : ” Un esempio confortante di solidarietà hanno dato i nostri contadini a vantaggio del maestro Capannolo, fino a ieri detenuto come preteso sobillatore dei fatti di Arischia. Per turno, delle squadre di contadini, si sono recate a lavorare i suoi campi per solo spirito di fratellanza, rinunciando completamente a ogni compenso”. Dal 1900 al 1901 il “Movimento” Socialista si sviluppa e accelera in Italia, assume proporzioni di lotta e organizzazione sociale con la spinta, innovatrice, inarrestabile degli operai, braccianti insieme a quella, sconosciuta, micro – storia dei contadini e pastori della montagna del Chiarino di monte Corvo, un’altra montagna del gruppo del Gran Sasso, oggi chiusa come tante altre da una sbarra metallica, ma che non impedisce ai nativi di Arischia di tornare nel bosco simbolo ad Occidente del Gran Sasso d’Italia, e raccontarsi.

 

Le immagini.

“Quarto Stato” – particolare – (Tutt’arte),monte Corvo il paesaggio del Chiarino – il pascolo e le capanne in pietra a secco, “ Vanga e latte” ( Wikipedia), “ Bestie da soma” (Wikipedia), l’allevamento, i pascoli e l’ambiente alle pendici di monte Corvo(Chiarino). I mandroni in pietra: recinti per gli armenti(località Castrato e Solagne), capanne in pietra, il rifugio “Fioretti” ( 1500 m.) del Chiarino, i puledri nati da poche settimane, cascata dallo scioglimento delle nevi, Monte Corvo, località ”Castrato”.

 

Archivio immagini d’epoca di Abramo Colageo, Arischia.(Per gentile concessione).

Si discute sulla questione di Chiarino.

  • La concia del grano con il crivello.
  • Si attinge l’acqua con la conca per abbeverare gli animali.
  • Antico lavatoio comunale.
  • Chiesa di S. Rocco demolita nel 1953.
  • festa per i 50 anni dell’Amm.ne separata di Arischia.
  • Anno 1980.
  • Fontana di piazza Duomo, costruita dopo il terremoto del 1703. L’acqua proveniva da “Fonte Innole” attraverso una conduttura in tubi di terracotta.
  • La battitura del grano davanti alla chiesa.
  • L’antico stazzo della “Vaccareccia”, Chiarino.
  • Giuseppe Capannolo, il più anziano pastore di Arischia che prepara il formaggio.