Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La capanna in pietra a secco edificata al limite del recinto di protezione degli armenti. Le pietre sono tolte dai campi, raccolte dalle macerine per costruire il cono del tholos. Devono avere una particolare tipologia: superfici piatte per avviare l’edificazione che procede collocando le pietre alla base del tholos, in cerchi concentrici, che lentamente salgono con un moto a spirale declinato verso l’interno e serrano l’armatura inclinata che così cresce e mantiene a secco l’intera struttura. Le stesse pietre sono come detto leggermente inclinate in quanto autoportanti con il peso e la spinta che esercita la massa della struttura. Si riuniscono e chiudono, alla sommità, la geometria dell’architettura spontanea, così definita. All’estremità del cono il foro di aerazione per la fuoriuscita del fumo del braciere che veniva acceso al centro della capanna. La costruzione era affidata a gruppi di uomini che avevano ereditato il mestiere della tecnica costruttiva. In quella forma tronco-conica, irregolare, elicoidale con un unico gradone che si avvolge appunto a spirale, oltre alla pastorizia, la struttura poteva essere usata anche per l’attività agricola. L’ingresso presenta un lungo architrave di sostegno, mentre l’interno rivela alcune nicchie per poggiare le lanterne e gli alimenti. Nella transumanza verticale i pastori stazionavano nei pascoli d’altura durante la stagione estiva, e la capanna in pietra era il ricovero per la notte. Poteva accogliere anche sette pastori.