Fotografia Vincenzo Battista. Il sisma del 2009.

Ricerco la casa della mia sepoltura:
in giro per la città come il ricoverato
di un ospizio o di una casa di cura

in libera uscita, col viso sfornato
dalla Febbre, pelle bianca secca e barba.
Oh dio, sì, altri è incaricato

della scelta. Ma questa giornata scialba
e sconvolgente di vita proibita
con un tramonto più nero dell’alba,

mi butta per le strade d’una città nemica,
a cercare la casa che non voglio più.
L’operazione dell’angoscia è riuscita.

Se quest’ultima reazione di gioventù
ha senso: mettere il cuore in carta –
vediamo: cosa c’è oggi che non fu

ieri? Ogni giorno l’ansia è più alta,
ogni giorno il dolore più mortale,
oggi più di ieri il terrore mi esalta…

Mi era sembrata sempre allegra questa zona
dell’Eur, che ora è orrore e basta.
Mi pareva abbastanza popolare, buona

per deambularci ignoto, e vasta
tanto da parere città del futuro.
Ed ecco un «Tabacchi», ecco un «Pane e pasta»…

ecco la faccia del borghesuccio scuro
di pelo e tutto bianco d’anima,
come pelle d’uovo, nè tenero nè duro…

Folle!, lui e i suoi padri, vani
arrivati del generone, servi
grassocci dei secchi avventurieri padani.

E chi siete, vorrei proprio vedervi,
progettisti di queste catapecchie
per l’Egoismo, per gente senza nervi,

che v’installa i suoi bimbi e le sue vecchie
come per una segreta consacrazione:
niente occhi, niente bocche, niente orecchie,

solo quella ammiccante benedizione:
ed ecco i fortilizi fascisti, fatti col cemento
dei piasciatoi, ecco le mille sinonime

palazzine «di lusso» per i dirigenti
transustanziati in frontoni di marmo,
loro duri simboli, solidità equivalenti.

E dove, allora, trovarlo il mio studio, calmo
e vivace, il «sognato nido dei miei poemi»
che curo in vuore come un pascoliano salmo?

Pier Paolo Pasolini, «La ricerca di una casa», Poesie in forma di rosa, 1961-1964, Garzanti