Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Anno 1975, mese di giugno. La cima di Corno Grande, la vetta Occidentale. Padre e figlia si sono avviati, ma il tempo volge al peggio, le nubi si addensano e come predatrici ruotano, avvolgono, disegnano spirali cupe che sembrano scuotere le falesie di roccia; spinte dal vento la cima rapidamente si scorge per poi scomparire.

Sì, uno spettacolo, che cambia repentino e mai uguale anche per loro, vicentini, in marcia lungo il sentiero che anch’esso cambia colore: dalla forte luce degli squarci di sole sulle rocce, al buio premonitore, nella marcia, lungo il sentiero di avvicinamento, dove sono stati sconsigliati di andare su, di salire, dai gruppi che rapidamente rientrano ma, nonostante i loro inviti a desistere diranno più tardi, ma molto più tardi, salgono per la “Normale” di Corno Grande nelle braccia della bufera, adesso fortissima, che li avvolge, spaventosa li avvolge, famelica, aspetta, cerca e vuole il suo tributo.
E’ notte quando la bambina muore in braccio al padre. Salvatore Corsi, ex del Sagf, il Soccorso alpino della Guardia di Finanza, racconta.

I soccorritori invece sono saliti per la Direttissima, forse per guadagnare tempo, e subito il padre è avvistato: si era spostato per cercare di scaldarsi. E’ l’alba quando lo hanno raggiunto, sotto un raggio di sole penetrato nella nebbia. Lui sta male, in stato confusionale, continua a ripetere che la bambina gli è morta tra le braccia, dà segni di assideramento, è perso. Poi, tra gli ancoraggi è stato calato per la Direttissima, con la barella, giù, fino al Sassone, molte ore dopo; la bambina, invece, dentro il sacco – salma.

L’uomo è disperato. In una giornata di inizio estate, in quota, le condizioni meteo sono cambiate e poi la bufera: vento impressionante che taglia il respiro, neve e nebbia. ‘Non lo dimenticherò mai’ dice Corsi. Giaceva, la piccola, come se si fosse addormentata, ma era morta, assiderata. ‘Io – continua – ero appena sposato, con noi c’era gente che aveva i figli piccoli, come lei; per noi è stato uno spettacolo devastante’.
Venivano dal nord, conoscevano l’escursionismo, pensavano che il Gran Sasso fosse una montagna facile, eppure è finita così. Per chi va sui sentieri, spesso tornare indietro è difficile e inspiegabile, diventa per molti irragionevole voltare le spalle alla montagna, si è prigionieri dei “primati” personali, a tutti i costi, ‘è lui – continua Corsi – con sé aveva anche una bambina’.

Non vorremmo mai trovare le targhe, in montagna. Quando qualcosa comincia a luccicare a distanza, sotto il sole che ne riflette i bagliori, il disastro di una vita si annuncia, anche qui sul Gran Sasso, dove nuvole e vette s’incontrano, sullo sfondo di una fascia d’azzurro del mare Adriatico: tutto sembra volgere a questo spettacolo unico, che va in questa direzione, per lo straordinario fascino dell’ambiente essenziale che ci circonda. Ma non è così.
Quelle targhe sono cicatrici di un totem, il Gran Sasso, che non rimarginano; incisioni profonde, degli uomini e della montagna. Dal passo del Cannone iniziamo l’ascesa su Corno Piccolo, insieme a questo tragico racconto che ci portiamo dietro dentro la vasta e poco conosciuta Riserva di Corno Grande di Pietracamela: 2200 ettari, tra torrioni, guglie e pareti altissime che scendono dai blocchi calcarei come le colate di una candela. “Nascosto”, come una conchiglia, il ghiacciaio del Calderone, sempre più “stretto” il più meridionale d’Europa. La riserva, istituita nel 1991, continua fino a Campo Pericoli, Val Maone e giù, nella valle di Rio Arno in un ambiente carsico, quasi lunare, che con concede nulla, se non ad uno sguardo che sappia cogliere il valore e i limiti delle proprie capacità.

Le fotografie. Ricognizione con il Sagf di L’Aquila: Corno Piccolo, falesie del Prena, Campotosto, aerea Corno Grande.

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