Testo e fotografia Vincenzo Battista.
.Nella profondità quasi impalpabile del giorno di Pasqua, nella città dell’Aquila ma soprattutto nelle frazioni aquilane, il rito si compie, familiare, senza tante e forzate coreografie. Semplice, e per questo fortemente impregnato delle ragioni nelle radici cristiane che ancora si conservano. La tovaglia bianca, “di povero Gesù, oh Gesù Cristo me!” – dicono così nei dintorni dell’Aquila -, viene distesa sul tavolo la mattina presto del giorno di Pasqua. È il sudario, lasciato nel Santo Sepolcro su una lastra di pietra della Deposizione. La trasposizione simbolica del sudario steso, quindi, sul tavolo della cucina, con le mani, piegato ai bordi, passato con le mani per stenderlo, toccato diverse volte, e poi con un segno di croce baciato: un atto simbolico, privato, di una società contadina memore delle radici del suo passato, che prepara ancora oggi la colazione di Pasqua. Sul tavolo il vino “pè gli ommini”, “la pizza antica e non moderna”, “come nell’usanza antica”: strutto, limone, cinque uova, il lievito madre con acqua e farina e un pezzetto di mela (neppure la rivoluzione industriale è riuscito a dissiparlo, la fermentazione esiste da 3500 anni, sostituito dal lievito di birra), il latte, l’olio, e quindi le patate. Sul tavolo il salame, la salsiccia secca, la giuncata preparata dai pastori la mattina preso (del buon auspicio, augurale), le uova ma anche dell’altro. Nella pizza di Pasqua, al centro, viene collocata la palma benedetta, uno stelo con le foglie, poiché gli eventi, appena distanti temporalmente tra loro: Ingresso di Gesù a Gerusalemme nella Domenica delle Palme e il Sepolcro della Resurrezione, e quindi la Pasqua, siano costantemente sottoposti a una flessione temporale, ad una modulazione delle giornate simbolo della Settimana Santa trascorsa, per riunire i lembi degli stessi eventi, e poi ricongiungerli in una pacificazione che, in nome nell’unità del pane dolce, trova la sua sintesi finale, il sigillo, cioè la pizza pasquale che è prima lievitata, cresciuta, poi si è trasformata come nel sepolcro – dicono – tutta la notte, per poi “ risorgere come Gesù”. La cottura al forno (in passato nei forni dei paesi, con la “spianatora” in legno sulla testa, le donne, trasportavano anche sette pizze). È la pizza di pane dolce, tuttavia, con la palma benedetta che riconcilia, questo l‘unico alimento condiviso, insieme – così dichiarano – al valore diffuso e testimoniale, che conoscono, della Pasqua – unione. La casa, infine, un cordone protettivo, un perimetro della sacralità con “la mensa del giorno di Pasqua”: lo spirituale di riti tramandati, ma quasi estinti.
La colazione aquilana. Le immagini.
La pizza di Pasqua con la palma benedetta, le pupe dolci, le uova colorate, la frittata di carciofi, la frittata con la mentuccia, la giuncata, i formaggi, i fiadoni con il formaggio, ovetti, mortadelle di Campotosto, salame e salsiccia secca, fegato secco, uova sode, la coratella.





















