La Costa di maggio e i prodotti gastronomici che rivivono delle Terre Alte appenniniche.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

La Costa di maggio, l’ultima “salita” negli intendimenti della cultura popolare nelle Terra alte delle Conche aquilane. Una metafora, questa, per definire i prodotti accumulati duranti l’inverno che stavano per esaurirsi, appunto, nella cosiddetta Costa, il passante temporale legato ai prodotti conservati, che tuttavia bisognava stringere e utilizzare intorno alla cucina, nei camini delle case perennemente accesi: riunirli la finalità, inventare ricette, creatività e soluzioni per utilizzare al meglio, senza che nulla andasse sprecato. La Costa di maggio. Ceci, cicerchie, lenticchie, farro, fave, patate, cipolle e poi farine di polenta e grano; conserve di pomodori, peperoni e altri ortaggi bolliti; e tanti aromi e spezie naturali degli orti conservati per tutto l’inverno nelle cantine, nelle madie, nelle arche e cassapanche, nei fondaci e nelle dispense delle case contadine, oppure appesi agli assi di legno sotto le volte per la stagionatura: lardo, strutto, guanciale ( per le minestre), salsicce secche di carne e fegato, prosciutto (per le ricorrenze importanti). Tutto questo, come per magia, trovava una quantità e varietà di ricette particolari nella famiglia contadina tradizionale. I fuochi accesi dentro il camino, con la brace spostata di volta in volta e, sopra, i tegami in terracotta dove si cuoceva di tutto nella Costa di maggio, che segnava poi la rinascita della stagione, in attesa dei nuovi prodotti della terra nella stessa stagione imminente che si riscopre ancora adesso: tradizione culturale remota di questa terra di cui avevamo perso la memoria.

Le immagini . I piatti preparati da Vincenzo Battista, chef per una sera…

Tra i piatti, gli “olaci” del Gran Sasso d’Italia.