La direttissima delle nuvole.

La direttissima delle nuvole.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

” Topografia in parte del territorio dell’Unità di Magliano, Rosciolo e Sant’Anatolia colla demostratia d’altri locali D’Alba e Terre annesse, fatta da me Giacomo Di Giacomo della Terra di Bisegna, Regio agrimensore, per le differenze che vertono Colle Masse, d’ordine delli Priori di Magliano Di Bartolomeo Ettorre di Rosciolo periti eletti per i Locali in essa descritti”, recita la descrizione della pianta topografica del 23 marzo 1736. Il paesaggio del Velino ideogrammato nella grande mappa topografica: dai centri abitati ai toponimi dei valloni e le forre del massiccio; dalla viabilià ai luoghi fortificati e di culto, alle confinazioni fino al tracciato della strada romana di penetrazione, la via Valeria, che risaliva il colle della città di Alba Fucens, oramai scomparsa. Attraverso la grafia, i disegni e i simboli a china quindi, strumenti di rilevazione nella concezione settecentesca delle raffigurazioni cartografiche, impossessarsi “dell’idea”, possedere il paesaggio, la sua orografia e piegarla ad una comprensione comune di questo vasto territorio che oggi invece sul terreno presenta nuovi codici, come quelli dell’escursionismo, che seguiremo, giunti all’estremità del villaggio di Corona, frazione di Massa d’Albe, davanti alla “Terra e ai Locali” del massiccio del Velino. Qui la carta, pur nella sua rappresentazione allegorica, resta attuale in un paesaggio montano in cui, la nebbia bassa, anche se per poco, rende giustizia ricoprendo i devastanti interventi sul paesaggio: si alza fino a lambire i borghi di Massa d’Albe, Magliano dei Marsi e sullo sfondo Scurcola Marsicana e i Piani Palentini che sembrano usciti da un libro di fiabe irlandesi di William Butler Yeats. Milleseicento metri di dislivello dal villaggio, una delle più esclusive ascese dell’Appennino, una “fiondata” verticale fino alla vetta del Velino ( 2487 m.) sfiorata dalle nuvole, che non lascia respiro, “difficile e impegnativa” è scritto nelle guide e si capisce subito già dalle prime ore del mattino quando iniziamo a salire con la nebbia che dalle valli si alza, sembra rincorrerci fino ai canalini della “direttissima” e poi ci raggiunge, si mescola alle nuvole, ci avvolge e la temperatura si abbassa rapidamente. È proprio lì che dobbiamo infilarci tra cumuli di grandine accumulata e l’acqua che fuoriesce dalle cavità strette delle pareti, in quelle fessure che si restringono ad imbuto che bisogna arrampicare. Incidono la montagna tra le balze, i pilastri rocciosi e il paesaggio Fucense che ai nostri piedi è ormai scomparso quando arriviamo alla cuspide della montagna sacra dei Marsi. Forse sono passate nove ore quando ridiscendiamo, ma dal versante opposto, per terminare l’avvicinamento sul fondovalle fino al luogo di raduno nella contrada Piè di Sevìce, e quella che pensavamo di aver scampato si abbatte con una furia inusuale: una bufera d’acqua e fulmini che scaricano tutta la propria potenza su questo grande declivio dove non siamo altro che possibili bersagli, in questo paesaggio oramai avvolto dal crepuscolo dove gli alberi seccati dalle saette sono il più eloquente messaggio di una natura, alla fine forse protettiva, come narrano le leggende “della Selva” di Santa Maria in Valle Porclaneta, consolatrice dei mali e propedeutica alla Misericordia che alla fine raggiungiamo, la grangia, alle pendici del Velino, surreale nella concezione dell’ubicazione: un romanico di una purezza esistenziale di pietre composte, essenziale, che si alza, fino a formare il luogo sacro e di culto, e nel portico della chiesa troviamo riparo.

L’immagine del rifugio “Sevìce” è del G.e.v., Magliano dei Marsi .