La fata e il suo manto color turchese del lago Vetoio. L’Aquila. Come nasce la fiaba.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Le immagini del lago Vetoio, nell’immediata periferia occidentale della città dell’Aquila, realizzate dall’elicottero pilotato da Davide Zecca. Aeroporto dei Parchi, Preturo – L’Aquila.

“Nessuno se ne era mai accorto, ma quel colore turchese delle acque del Vetoio, altro non era che il mantello della fata che aveva…”. Ma come nasce una fiaba? Se essa è viva e pulsante, rifiuta di essere dominata dalla stampa su un foglio o in un libro ( ma poi, oggi, ne abbiamo bisogno? ), poiché deve vivere nel labirinto dell’affabulazione che seduce, nelle pulsazioni del racconto che stupisce, in quei volti incollati verso il narratore che partecipa agli eventi come in una quinta teatrale, in quel silenzio che circonda il linguaggio orale, e tanto è forte la stessa tradizione orale, tanto più le parole alla fine divengono immagini che puoi quasi toccare nella magia e nei prodigi, nei valori e nei miti. È vero? Provate a domandarlo!”. … la fata di quel mantello ne aveva fatto luce e vento, il soffio e la brezza, il bagliore e il riverbero, certo, la lucentezza del Vetoio come non si sarebbe mai vista, e nella profondità del lago, persino i raggi possono farsi largo in quelle acque e carpirne i segreti ma a quel punto…”. Le leggende alimentano l’incantesimo che ognuno di noi vorrebbe, in un tempo parallelo, inconfessabilmente possedere anche per un attimo, per mutare quello che ci circonda spesso inquieto. Il mito, lo abbiamo visto nell’Età classica, cercava di dare spiegazione ai fenomeni naturali, non c’era altro, e tutti, ma tutti, assumevano verso sé, come detto, un tempo parallelo: la vita quotidiana della famiglia, il lavoro, sentimenti, guerre e tanto altro interfacciati al mito, irraggiungibile però, dalla grande bellezza, a cui tutti infine aspiravano. “… La fata nei vortici del lago Vetoio si poteva svelare, si poteva rompeva l’incantesimo, il manto turchino allora del Vetoio iniziava a muoversi, lentamente ed infine ad ondeggiare, e quel sibilo che emetteva chiamava a raccolta gli animali del bosco : si sarebbero riuniti sulle rive del lago per guardare, gli uccelli avrebbero smesso di volare, ma anche da lontano, da molto lontano molti altri animali in marcia, di notte, attraversando le montagne e i fiumi, pronti per stare lì, sul bacino del Vetoio, esserci per poter raccontare questo mistero prodigioso; si poteva certo, ma quando tutto questo accadeva? ”. La fiaba e il suo principio, narrata oralmente, offre sistemi di credenze di una antropologia culturale viva, contenuti soprannaturali, distilla morale da ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: una vera e propria preistoria della fiaba che nasce dal racconto orale, lo stesso per esempio della lingua dei Vestini Cismontani che non conosceremo mai: avevano le fiabe loro? “… Non dimenticate questa data – così disse una voce arcana che si alzò dalle profondità delle terre della Conca aquilana – attenti, esclamò, al Solstizio d’estate, tra pochi giorni – al tramonto del 23 giugno, l’acqua del Vetoio – continuò quella voce carica di mistero  – si ciberà delle energie magiche, nella notte fonda si sposerà con gli astri, e all’alba seguente gli animali potranno lavarsi nel lago del Vetoio, immergersi con il corpo, nuotare tutti nel ritrovato benessere, nella buona sorte, senza più prede e predatori, mentre la fata dal mantello turchese in quel momento…”. La fiaba quindi è viva, sospesa, ha i suoi momenti ondulatori, ondeggianti e trova nell’affabulazione la morale istruttiva – didascalica, pedagogica per i bambini ma soprattutto è educazione nelle relazioni. Italo Calvino scrive nel 1956 “Le fiabe italiane”. Così le commenta: “E’ utile ricordarlo ai più piccoli, che hanno bisogno anche di questo: che le fiabe si prendano cura della loro fragilità, delle loro debolezze, mentre noi adulti ne abbiamo altrettanto bisogno”. La fiaba della fata dal manto turchese adesso volge al termine. “… in quel momento al centro del lago Vetoio si alzò un vortice d’acqua di color turchese, sempre più alto, e lentamente poi scese sulle rive del lago con grande ammirazione di centinaia e centinaia di piccoli e grandi animali venuti da lontano. Altro non era che il manto della fata che così lei si rivelò in tutto il suo splendore. Ma non tutto era terminato, poiché la fata con il suo manto color turchese del lago Vetoio iniziò a volteggiare alta nel cielo, con ampi giri si portò sopra la città dell’Aquila e lì, lentamente scese, con il suo ampio mantello perché voleva…”. Adesso finite voi la fiaba…