La festa del riscatto dalle colpe del possesso. Il mito popolare del 17 gennaio. 

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

È nell’eremo di San Onofrio, sembra incollato alla parete verticale del Morrone, sulla Conca Peligna, chiamato anche eremo di Celestino V, che si trova una delle sue immagini più antiche in Italia: dipinto con il capo coperto da un cappuccio, con il bastone a tau, è spesso rappresentato nella sua iconografia con il campanello, il fuoco, il maiale, grandi cataste di legna e le ceneri, preziose, che da qualche parte in Abruzzo vengono ancora conservate, come fossero reliquie. Ci spostiamo, ma solo di pochi chilometri. ” Don Donato Masci, parroco di Secinaro – raccontava Domenico Graziani, classe 1914 – negli anni ’50, alla casa di Cristo, preparava i granati. Si portavano i somari e i muli in piazza. Dopo che era passata la processione si benedivano gli animali. I granati venivano distribuiti alla popolazione con un caldaio. San Antonio Abate, la statua, si portava in processione per il paese e si mangiavano i granati che proteggevano. La popolazione offriva il granturco in segno di devozione alla chiesa: ogni famiglia ne dava due, tre chili. Si diceva: ” Portiamo il grano e il granturco a Sant’Antonio Abate”. La processione passava lungo le vie del paese e si raccontavano, con gli stornelli, le storie di Sant’Antonio Abate. Domenicantonio, detto il ” muretto”, andava per ogni casa a raccontare le storie del santo…”. Queste: “Da lontano abbiamo appurato, che il maiale l’avete ammazzato e ni ti li pu’ negà che l’avemi sentiti abbaià. Già s’ù vista la brutta parata manchi dieci uova pe na frittata. Tanti baci agliu scalla litti tanti diavoli pe gli litti. Tanti ciuvi alla porta, tanti dievuli ti si porta. Bona sera gente bona, ve scallate a ju foche; nu che steme a la serena, Sant’Antonie j’adureme…”. Il corteo si muove lentamente nel borgo di Secinaro. Davanti, i procuratori della festa che trasportano i “granati”; seguono i cantanti, i suonatori di organetto e il figurante: Sant’Antonio Abate. Il corteo si ferma, suona alle porte delle case e, con battute sferzanti ed ironiche dialoga, improvvisa anche stornelli, a volte irriverenti, sarcastici, davanti alle case dei “ricchi signori del paese”. Tutto è permesso in questo 17 gennaio, poiché bisogna espiare le colpe del possesso, le proprietà, le ricchezze accumulate… Tutto è permesso nel nome del santo e del suo flusso culturale, che intorno alla festa del desueto, torna a rivivere, liberando un singolare tratto allegorico della religione, forse l’unico nel calendario cristiano. Il gruppo dei figuranti riceverà in cambio, come nella tradizione contadina, prodotti agricoli che si consumeranno la sera, quando il corteo concluderà la sfilata improntata sulle disavventure del santo e le tentazioni del diavolo. Poi si accenderanno i fuochi rituali, dalla valle Subequana fino alla valle dell’Aterno, a Fontecchio, con la “giranna”, accesa nella piazza del paese che proverà ancora a ricordare il significato di radicali contesti cultuali dove la “festa” era espressione aggregante intorno al mito che per una volta l’anno arrivava, scendeva dal piedistallo e poteva diventare per una notte uno di loro.

Un figurante rappresenta Sant’Antonio Abate nella sfilata lungo le vie del borgo di Secinaro.