La fiaba medievale del bosco del Chiarino. Gran Sasso d’Italia.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Poi quelle foglie si alzarono dal suolo, sospinte dal vento si riunirono in un incantesimo, iniziarono a volteggiare da una innaturale forza, vorticosa prima, assumendo una forma a spirale,  sempre più compatta, ondularono, quasi ad inchinarsi agli alti tronchi di faggio della foresta secolare del Chiarino, per poi rialzarsi, mosse da un arcano disegno rivelatore di magia primordiale, un sortilegio, in quel labirinto di tronchi, quelle foglie agitate da un istinto primitivo, si placarono quando ebbero assunto una forma, una sembianza umana. Da allora, si racconta, quando le nevi del Gran Sasso si sciolgono e le acque del Chiarino si ingrossano nei torrenti, nei corsi d’acqua e nei tanti rivoli che si aprono un varco nel bosco, una principessa, signora della selva, così è chiamata, si può guardare nella sua meraviglia, ma solo alle ultime luci del tramonto che si insinuano tra gli alberi. Mentre attraversa la foresta del prodigio, lei la osserva la boscaglia, la scruta con due grandi occhi che sbucano dalle foglie e coprono interamente Il suo corpo e il lungo mantello davanti alla trasparenza di mille riflessi dorati dalle acque, i riverberi la illuminano.  E con quell’ incanto portentoso subliminale, cessano i suoni e i versi degli animali, e lei scivola, la principessa silenziosa, per poi scomparire. Per comprendere questa prima parte della fiaba medievale del Chiarino, bisogna tornare indietro, intorno al secolo XII, con la più antica attestazione della zona contenuta del Catalogus baronum, diretta al popolo sovrano delle terre e del castello del Chiarino e dei suoi milites che ne sancirono il dominio e la giurisdizione, il potere e il controllo, su una antica viabilità romana che allora ancora si conservava.  L’area si caratterizzava dal castello fortificato e dal suo impianto militare di accoglimento in caso di conflitti, dal bosco dalle grandi risorse economiche e, infine, dalla pastorizia di rilievo finanziario dei siti delle Solagne e dei Castrati.  Tutti e tre costituirono gli elementi aggreganti del paesaggio per gli abitanti extra moenia del Chiarino. Fino a quando, con il diploma di Corrado IV del 1254, il documento che ratifica la nascita della città nova di Aquila nella collina tra Amiterno e Forcona con il concorso dei castelli, le comunità uscirono dall’isolamento, dalle angosce dell’insicurezza, e acquisirono libertà in un unico recinto alto e murato difensivo, esteso e condiviso con altri e con la concessione di portare con sé le insegne locali, le effigi religiose di appartenenza, il proprio patrimonio spirituale ed antropologico. Infine, non sarebbero stati più vessati e ridotti in schiavitù dalle economie chiuse e stringenti dei castelli feudali dominanti e da leggi opprimenti, dalle barriere daziali che condizionavano il movimento di uomini e merci. E, cosi, vennero sanciti nuovi diritti per le genti del Chiarino e per altre del Gran Sasso e aree contigue: Porcinaro, Vio, Guasto, Genca, Rocca delle Vene, San Pietro della Genca, ecc. Ma torniamo alla fiaba, nella sua parte finale. I carri con le masserizie si misero in cammino dal Chiarino, una lunga fila di uomini e animali quasi ininterrotta alla volta della città nascente, ma che doveva comunque essere lentamente edificata nei locali assegnati e censiti, di appartenenza (vedi piazza Chiarino es., L’Aquila) delle piccole comunità immigrate. La lunga colonna, quindi, percorse l’antica viabilità romana, uscì dal bosco, ma accadde che una donna si attardò, rimase indietro e perse di vista la carovana quando, quasi per un enigma sconvolgente, taumaturgico, il bosco del Chiarino si animò, prese a vibrare, scosse le sue fronde e cupo si richiuse, si avvolse su se stesso, in una selva inestricabile, tanto da impedire alla donna di uscirne: la selva voleva il suo pegno. Lei vagò, per giorni e giorni, senza trovare un sentiero, un varco, per raggiungere la città nova, ma infine fu tanto il girovagare che giunse alla radura del Prato della Corte. Esausta si distese, oramai, alle ultime luci del tramonto si addormentò mentre le foglie, lentamente, la rivestivano di un manto soprannaturale, stupefacente: il velo di foglie della principessa simbolo delle genti del Chiarino…

Le immagini: il bosco del Chiarino.