La fiaba di Santo Stefano di Sessanio. Il vento caldo d’inverno sulle lenticchie.
Testo e fotografia di Vincenzo Battista.
Qualcuno dice che le narrazioni, da queste parti, hanno origine come per magia da un vassoio in legno chiamato “scifo o capistiero”, ma con dentro, però, le lenticchie. Da lì, raccontano, possono nascere anche le leggende, gli intrecci delle fiabe popolari infauste, ma anche quelle a lieto fine. Qualcuno dice che i narrati della tradizione popolare, nella loro sapiente costruzione semantica, sono come le lenticchie (ricordano la catena di un rosario) che dentro lo “scifo o capistiero” , appunto, devono essere, una per una, separate dai piccoli sassi, dai residui legnosi, dalle impurità: un lavoro domestico femminile condotto senza fretta, liberato dal tempo, paziente, di fine stagione agricola: esaltava l’affabulazione, la fonte orale, il racconto dentro le case del borgo dei Cavalieri, poiché così veniva chiamato nei primi anni dell’Ottocento: ” Era il posto dall’aspetto più medioevale che avessi visto fino ad allora – scrive nel 1928 Estella Canziani, in Viaggio attraverso gli Appennini e nel paese Santo Stefano di Sessanio-. Il villaggio si riuniva a chiacchierare, a filare, a dare a mangiare a capre e galline, tutti insomma con qualche incombenza…” compresa la concia delle lenticchie, “povere” come i fagioli, le patate, i ceci e il farro, coltivate in una economia di sussistenza nelle zone di montagna in perenne lotta con l’ambiente ostile appenninico, per riportarle infine lungo le carrarecce a Santo Stefano di Sessanio dove Madonna povertà, e qui la fiaba, si aggirava tra le case del borgo spinta da un vento caldo ma dell’inverno, inconsueto, che tutti avvertirono, mentre lei bussava alle porte e tutte si aprirono, quasi d’incanto. Qualcuno la fece entrare e le venne offerto un piatto di lenticchie, il cibo dei poveri, ma che Madonna povertà trasformò in numerose monete d’oro, che iniziarono a moltiplicarsi, all’infinito, tanto che gli abitanti del borgo decisero di nascondere quell’immenso tesoro dentro una grotta, sotto la torre del borgo, perché nessuno lo toccasse a ricordo di quell’evento. Ancora oggi, si racconta, solo per una notte d’inverno, una luce dorata si alza dal sottosuolo, illumina le case di Santo Stefano di Sessanio per ricordare un’antica storia di solidarietà con il suo simbolo, le lenticchie, fatto di niente ma vera “ricchezza”, insieme a quelle porte delle case, che si aprirono, a Madonna povertà e alla saggezza della sua gente.
Nota.
Il nome lenticchie, dal latino lens ( lente), è associato alla forma del legume dalla forma appunto rotondeggiante e piatta: ricorda la moneta. Tra il I secolo a.C e il I d.C. Varrone, Plinio e Columella documentano il cibo delle lenticchie utilizzato nella Roma imperiale dai poveri e dagli schiavi. Inoltre ,un dono diffuso era legato alla “scarsella”, una borsa di cuoio contenente le lenticchie, con l’auspicio che si trasformassero in monete.
Il paesaggio della montagna del Gran Sasso e le sue identità.
Le lenticchie vengono prodotte ancora oggi dentro piccoli bacini carsici, le conche, i fondovalle che drenano l’acqua mentre la neve spinge giù la terra sottile e sciolta, una rarità tra le pietraie del Gran Sasso, con l’effetto di ottenere la massima produttività rispetto ad altre localizzazioni. Tutt’intorno invece praterie e pascoli, cumuli di pietra secolari, risultato di un lavoro forzato di spietramento dei campi che intere generazioni hanno ereditato e continuano a praticare per rendere “fertili” i terreni. La coltivazione delle lenticchie è questa. Tra il 1200 e i 1600 metri nelle zone di “Prata”, ” Valle Fresca”, ” Portoli”, “Colle Donico”, ” Valle di piedi Toro”, “Le Condole”, e nelle piccole valli adiacenti il borgo chiamate “Presura” e “Lucchiano” e poi nel lunga conca di “Viano” (sembrano luoghi di fiabe) si coltivavano 400 – 450 coppe con un ricavato di circa 50 kg. di lenticchie per coppa (la coppa equivale a 662,50 mq). Ma prima bisognava preparare i terreni in autunno: aratura e fresatura, poi la semina a fine marzo con giornate calde e senza vento, per giungere alla raccolta, nel mese di agosto, nei terreni diventati arazzi, texture, gialli con cromatismi sfumati sul verde che illuminavano le conche carsiche: ” Se la Vigilia di Natale – narra la tradizione popolare – c’è vento caldo, la stagione delle lenticchie sarà buona” nelle terre estreme, d’altura, della stella a cinque punte (potrebbe chiamarsi così l’intera area geografica), come i cinque comuni nati dalla divisione della Baronia di Carapelle nel 1810, tra cui Santo Stefano di Sessanio; cinque borghi alle pendici Occidentali della catena meridionale del Gran Sasso d’Italia; cinque raggi di luce, ci piace immaginarli così, della calotta stellare di questo microcosmo, forti di identità, cultura della memoria e oggi testimonianza del Genius loci e dello spirito dei luoghi che non è negoziabile, complessi della loro sedimentazione paesaggistica, ma distanti, ancora distanti da un organico strumento di sviluppo dell’intero territorio lasciato solo all’iniziativa privata. Purtroppo esigua questa, poiché il dividendo dell’azione politica predilige grandi scenari di consenso, e non certo le “lenticchie” e quel “fastidioso”, inconfessabile, Gran Sasso delle sue genti, di cui continueremo a raccontarne le identità e quella concezione della terra, che chiuderà prima le sue case, poi le luci, le sue montagne, e infine le strade inaccessibili con le sue barriere di metallo, per tornare a spegnersi come sa, e sopravvivere oltre l’azione politica del nostro tempo, oltre la magia e le fiabe, nel lungo inverno artico della sua millenaria storia, da amare e maledire.
Nota.
La cernita delle lenticchie, con il “capistiero” in una casa di Santo Stefano di Sessanio, vengono pulite (concia) in due qualità: le più grandi e le più piccole. La semina è sempre la stessa, non è mai cambiata: patrimonio dall’ alto valore alimentare del paesaggio agrario montano, ultimo avamposto agricolo davanti l’Altopiano di Campo Imperatore.
Le lenticchie hanno proprietà terapeutiche, legume dall’alto valore nutriente, ricco di proteine e carboidrati complessi, vitamine del tipo B, fibre, fosforo, ferro e potassio. Un etto di lenticchie fornisce 325 calorie secondo alcuni studi, con una notevole dose di fibra vegetale (quasi 14 grammi) che rappresenta metà del nostro fabbisogno giornaliero. Sono molto resistenti agli agenti naturali e considerate simbolo di lunga vita, salvaguardano il corpo, associate ad abbondanza e prosperità .
Le immagini.
Santo Stefano di Sessanio, la raccolta delle lenticchie nei terreni d’altura e la lavorazione. Le stampe d’epoca sulle lenticchie del 1885 e la preparazione di un piatto ( Wikipedia e Dreamstime).