La leggenda dei “Portoni” di Capodanno e i tesori svelati del Gran Sasso. Il cibo e i riti nella Conca aquilana.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

I “Portoni” della montagna si aprono con un  fragore sordo, i faggi si scuotono come sferzati da una forza soprannaturale, le rocce cadono dalle creste del Gran Sasso d’Italia, un urlo dal ventre del massiccio si alza, quasi a svelare i suoi segreti, i suoi tesori. I mazzamurielli e le pantasime, creature silvestri, misteriose e magiche si danno convegno, mentre i lupi egli orsi si riuniscono in branchi, inquieti. Le aquile e i falchi volteggiano sopra la montagna, gridano i loro richiami agghiaccianti e avvolgenti. La natura si trasforma, piegata da un volere divino, un evento straordinario ha luogo. Le luci abbaglianti e impietose che abitano le viscere della montagna fuoriescono dalla profondità, e dai “Portoni” quindi, vengono liberate:  indicano comunque  il luogo di accesso per sottrarre le ricchezze, i tesori accumulati dai briganti e protetti per un anno intero. Ma bisogna essere rapidi per entrare nelle viscere del Gran Sasso ( anche nella Maiella), poco tempo a disposizione nel cuore della montagna per prelevare i preziosi ori, poiché allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre, i “Portoni” si chiudono, e se si resta all’interno, bisogna aspettare l’anno successivo per uscire.

Capodanno. La festa pagana, primitiva, stipata in una nicchia temporale dove tutt’intorno si muove un’ampia simbologia religiosa iniziata con il Natale, che si “percorre”, fino ad arrivare alla “curva”, il periodo più basso del solstizio d’inverno, il punto critico: la fine dell’anno che custodisce un rapporto quasi magico con la sospensione del tempo e della natura dove tutto sembra permesso, mentre il paesaggio è fermo… . La montagna si lamenta, le acque si bloccano secondo la tradizione popolare, i tesori si rivelano e i miti custoditi assumono sembianze fisiche, dialogano, per incontrare la gente del luogo. E’ la festa del desueto, questo Capodanno, la “macchina del tempo”, la soglia simbolica, in quei pochi minuti della fine dell’anno, degli incantesimi ludici da attraversare, da percorrere, come viene ricordato anche con le cerimonie dei canti della prosperità, le serenate augurali, la questua, gli oggetti scaraventati dalle finestre, i cibi augurali e tanto ancora.

Molti decenni fa, erano queste le forme e i comportamenti da assumere, alchimie e atteggiamenti augurali per esorcizzare e spettacolarizzare il futuro, alcuni lo ricorderanno, poiché il passato era stato povero e sconsolante, appunto, nelle contrade agricole delle aree appenniniche interne. E poi “L’acqua nuova”. Fresca, augurale, simbolo e potere nelle campagne, aveva lo scopo di lavare i mali: si doveva bere nella vigilia di Capodanno per consacrare i patti, le alleanze, i matrimoni, e per ristabilire le unioni nella sfera sociale e salutare il nuovo anno. L’acqua scorreva nei villaggi, aleggiava nell’immaginario collettivo per una nuova, migliore, stagione agricola. “ Giano, dio di tutti gli inizi, che l’anno cominci scorrere e silenzioso” così lo invoca Ovidio nei Fasti. Con due volti, il dio bifronte, barbuto e vecchio e l’altro giovane aveva la funzione di presiedere gli inizi… la soglia, il passaggio  temporale del Capodanno, le rinascite anche con il cibo, quando il 1° gennaio le famiglie romane si scambiavano e offrivano a pranzo un vaso di miele con datteri e fichi rugosi e ramoscelli di alloro (strenna), auspicio di fortuna e felicità. Un rituale alimentare non cancellato del tutto, ne rimangono esili tracce, ancora oggi, nella cena di Capodanno poiché si lessano le castagne con i ceci, le lenticchie e i cavoli, le frittelle di mele e baccalà, e ancora il baccalà in umido con fichi secchi e pesto di noci, nocchie, alici e aglio; e poi le pastinaca: ortaggio raro (una radice antica diffusa fino al Medioevo e poi scomparsa, associata alla pianta di carota), bianche e dolci la pastinaca preparata con le mele fritte in una pastella.

Persino gli animali nelle stalle, invece del “mestico” paglia e fieno, qualche allevatore ancora oggi dà il fieno assoluto, un trattamento diverso per la fine dell’anno. E a mezzanotte, infine, si racconta, il lancio delle stoviglie vecchie dalle finestre, oggetti espulsi, zone d’ombra della casa portatori di spiriti maligni, demoni che si erano annidati negli angoli e bisognava allontanare per cancellare il passato, lasciarli sulla strada tutta la notte, ad estinguersi… mentre con le prime luci dell’alba del 1° gennaio, sopra i frammenti rotti e dispersi, giravano i poveri, bussavano alle porte, chiedevano la “strina”: una minestra di legumi, con fave e soprattutto grano per iniziare l’anno, per loro senza speranza e senza attese…

Le immagini del testo.

Il portone, il Gran Sasso ( Corno Grande, monte Aquila, la Fossa di Paganica, Corno Grande e Campo Imperatore, Corno Piccolo e Corno Grande, verso Pizzo Camarda, stazione funivia del Gran Sasso), Sagittario, la Maiella, Giano bifronte (giovannaromanato.org), i cibi di Capodanno – referenze : badalu.it, it.wikipedia.org, lacucinaitaliana.it, cucina.fanpage.it, Bigodino, ricette.giallozafferano.it, alice.it, ricette.giallozafferano.it, cookaround.com, potereaifornelli.blogspot.com.