“Bestie da soma”, di Teofilo Patini.

 

 

La Madonna dei prati e della devozione.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

“Alla montagna di Sant’Anna…”, continuano a dire, la chiesa, dentro il piccolo villaggio,”dove andavano a piedi, anche per legna, le donne del paese che dovevano partorire – raccontano “; in pellegrinaggio, per sciogliere un voto alla “Madonna dei prati e dei raccolti”. E sembra di vederle, cariche di legna, le “Bestie da soma” di un titolo, di un’opera d’arte che le ha indicate e rese simboli del paesaggio, e oltre, di una metafora, nella ritrovata “coscienza” e “conoscenza” della realtà che a partire dalla fine dell’Ottocento approda nella pittura per rivelare il mondo inconfessabile delle condizioni dei contadini, soprattutto delle donne, appena sfiorato dai documenti delle “Inchieste agrarie del Mezzogiorno”, ma poi denunciate attraverso le opere di una scuola di pensiero che ha avuto la capacità di guardare oltre, di alzare il “grido”, rivelarsi, in quella estensione pittorica appunto della realtà che possiamo ammirare in una delle grandi tele di Teofilo Patini : misura 243 x 412, è del 1886, chiamata “Bestie da soma” : da una montagna abruzzese brulla e battuta dal sole tre donne cariche di legna sulle spalle, ancorate da corde, come gli animali, sostano, sfinite, esauste, prima di riprendere il cammino verso il paese. Tra queste, una giovane, vestita di stracci, con il volto esausto e segnato già da una precoce vecchiaia, incinta, appoggia il suo carico di tronchi su una roccia sporgente, e la mano, che mantiene le corde del suo pesante carico intorno alle sue esili spalle, si appoggia sul grembo nella sua avanzata gravidanza che la obbliga a stare diritta, nonostante il peso. Partiamo. Quattro ore per salire su, “alla montagna”, dopo che ci siamo lasciati alle spalle il borgo fortificato di Fontecchio, che declina, roccioso e imponente sul fiume Aterno. Attraversiamo il Ponte delle Pietre, a doppia arcata, la ferrovia, il sentiero che un tempo percorrevano i raccoglitori di legna, scavato a tratti nella roccia: da una quota di 520 metri del fondovalle ci porterà ai 1084 metri, fino ai rilievi delle Pagliare di Fontecchio che ci appaiono come dadi gettati sul tavolo, e poi le conche carsiche, i prati a forma di cucchiaio e la chiesa, infine, di S. Anna, al centro dell’insediamento. ” Le donne partivano la notte da Fontecchio, erano gruppi di cinque sei persone, non mangiavano tutto il giorno, portavano i fasci di legna e facevano solo sei soste in montagna – così un brano del racconto”, mentre la messa nella ricorrenza di S. Anna segnava l’inizio dei raccolti, gli ultimi, la falciatura dei prati, la mietitura del grano, l’organizzazione e le regole in definitiva di un paesaggio agrario estremo, al limite per delle risorse agricole, dettate dai cicli naturali spesso spietati e dalla memoria degli antenati: si racconta ancora, nel laghetto delle “Pagliare”, di un cunicolo che attraversa “Le Prata” e si spinge verso la contrada agricola “Cesa Vecchia”, sotto la montagna: una galleria, una conduttura d’acqua che serviva per le “calecare”, fornaci per trasformare le pietre in calce, che veniva poi portava nel laghetto; si stemperava la calce e si usava infine per costruire i muri delle casette.I contadini accendevano il fuoco dentro le “Pagliare”, con molta attenzione, perché si potevano incendiare, c’era la paglia della trebbiatura dappertutto. Quando andavamo a dormire, vestiti, mettevamo le gambe dentro la paglia e, sopra, la mantella dei padri….

L’interno della chiesa di S. Anna delle Pagliare, sopra l’altare, il trittico rappresenta la santa, le donne, un neonato e la flora del Sirente. Dipinto e donato da un emigrato in America.