La narrazione dell’opera d’arte incontra l’immaginario collettivo della festività.

Testo e fotografia di Vincenzo Battista.

Nel polittico di Jacobello del Fiore e aiuti, tempera su tavola (dimensioni 192 x 165 x 12 cm), realizzato tra il 1428 e il 1430, conservato presso il Munda (L’Aquila), il Redentore e la Madonna in trono con il Bambino nell’iconografia sono figure centrali mentre, nell’ordine inferiore dei due ambiti visuali sovrapposti, in basso, tra i santi, un uomo, dal chitone dell’oriente greco, i modi bizantini, la veneranda canizie e la foggia insigne, lo sguardo basso e assorto, è rappresentato in abiti vescovili, a capo scoperto, con il pastorale e la mano destra coperta da un guanto, che sembra consegnare, affidare, dare spiritualmente in custodia il libro sacro che non può essere toccato con mano nuda. . . Il suo nome, inoltre, di origine greca, significa “ Il vittorioso tra il popolo” in virtù del suo patronato, il 6 dicembre (scomparso in quella data di un anno compreso tra il 345 ed il 352) quando San Nicola di Bari diventa dispensatore di doni per tutti i bambini, nell’uso cristiano, popolare, diffuso in molti centri, ma soprattutto la sua festa religiosa si impone come un cuneo profetico nella dimensione dei culti pagani del solstizio d’inverno per spezzare i riti magici esoterici, spazzarli via e cristianizzare il mondo degli idoli, i feticci arcaici, i numi tutelari dell’antichità. Naviganti, pellegrini, pescatori, profumieri, poveri e scolari, su di loro scende la protezione del vescovo di Myra (Asia Minore), Nicola appunto, uno dei santi più popolari della cristianità, tra Oriente e Occidente, tra greci e latini. Le sue fonti, tra testimonianza storiche insufficienti, e una tradizione orale che ha veicolato la vita e i miracoli appunto del vescovo, lo vogliono enigmatico, santo universale, transconfessionale, in grado di catturare la devozione e il culto di migliaia di fedeli in forme, tradizioni, contesti, funzioni e cerimoniali dalla Russia ortodossa ai Paesi del Bacino del Mediterraneo bizantino e multireligioso e all’Olanda protestante, fino ai borghi più estremi dell’Appennino abruzzese, per tornare al monastero di Santa Caterina del Monte Sinai che conserva antichi dipinti su tavola che lo ritraggono. Dal Beato Angelico ad Antonello da Messina; da Lorenzo Lotto e Paolo Veneziano a Tiziano e Tiepolo, la pittura, dopo le icone russe, ha definitivamente trascinato la vita di San Nicola in un’iconografia leggendaria e narrativa che racconta le storie soprannaturali, le gesta del santo taumaturgo dalle gote scavate, dall’aspetto di coraggio e fermezza, che nel del culto diffuso nel nord Europa, Sanctus Nicolaus, si prestò e venne trasfigurato nella figura di Babbo Natale, il feticcio, tornato, abito rosso e pelliccia, su una slitta trainata da renne nel crepuscolo degli abbattuti miti del solstizio d’inverno a favore dell’idolatria e l’eresia, reincarnato, in una sorta di esorcismo mondano, infine lascia la notte dei tempi nei fuochi purificatori: la sua capitolazione… Il mito arcano, quindi, nell’immutabilità contemporanea attraversa le contrade, dispensa doni ai bambini nell’immaginario collettivo delle festività di Natale:luoghi delle allegorie, enigmatici, apparentemente incomprensibili, dove non si fanno i miracoli…

 

 

Polittico di Jacobello del Fiore e aiuti, tempera su tavola.