La Natività e il blu del tramonto, sopra la città dell’Aquila.

Testo e fotografia Vincenzo Battista.

Mancherà poco a quel cielo, proviamo a pensare, ormai al crepuscolo, per diventare blu intenso e poi scomparire nella pittura, definita Natività ( h. 193 cm, largh. 218,5 cm), anonimo del XVI secolo, conservata presso il Museo MuNDA de L’Aquila. La Madonna è assorta, concentrata, fissa suo figlio ed è estraniata da quell’avanzo di rovine decadenti, la sua stalla incerta, il ricovero: un muro cadente e in frantumi mantiene in equilibrio instabile una tettoia prospettica, un San Giuseppe pensieroso (molto giottesco nella Natività della Cappella degli Scrovegni a Padova), un messere che indica il Bambino e con l’altra mano si tocca il petto: quasi a voler dire al francescano a cui si rivolge (entrambi in ginocchio) che lui, Gesù, è qui per noi. E poi gli angeli, e dietro loro uno sperone bucolico con gregge al pascolo, due pastori che scrutano l’orizzonte e con una zampogna a terra, il bosco e nel cielo un’aquila metafisica che carica le ali e le tende all’indietro per lanciarsi a precipizio su un volatile: la sua preda (enigmatica questa visione nel contesto della Natività), insieme al gufo inquietante nelle orbite dentro la sua tana sulla destra muro, dalla quale pende la preda appena catturata. È una pittura fiamminga l’olio su tavola dalla luce ovattata, e poi i dettagli, lo spazio e soprattutto il colore, la “Maniera” con cui è tenuta nei toni la composizione, nel cromatismo volutamente basso, ci siamo detti con i ragazzi del liceo “D. Cotugno” de L’Aquila nella “conversazione” di storia dell’arte. Non esplode quel colore impetuoso così come l’abbiamo visto nella seconda ondata del Rinascimento, ma resta temperato con molte mezze tinte, colori lavorati con i bruni, toni freddi, i grigi e i neri sfumati: la pittura velata in definitiva, emotivamente bassa nei chiaroscuri in quell’assenza di esplosione del colore, viceversa, dei grandi pittori toscani. Ma un’altra stalla, la vedremo, anch’essa in muratura, ha invece una grande apertura da cui si scorge un blu intenso, “anch’esso fiammingo”, sopra L’Aquila che si intuisce in profondità con le sue luci che ormai l’avvolgono nell’oscurità. Potrebbe essere un aspetto del presepe o della Natività in questo periodo dell’anno, la mungitura nella frazione di Bagno – L’Aquila, dentro questa stalla, appunto, l’apertura blu che sembra un quadro, dell’allevatore Francesco Santarelli con i settanta litri su 100 pecore che ricava, razza siciliana, comisana. La mungitura si pratica mattina e sera, per 70 litri di latte e 15 sono di formaggio finito, pronto per la stagionatura, lavorato anche dentro le “fuscelle” di faggio, i cerchi in legno per dare la forma e tenere la pasta del formaggio compatta. Nel latte appena munto, la temperatura controllata nel caldaio – circa 45 gradi -, si versa il caglio, si rompe con lo “spino” il latte già coagulato dentro il caldaio, e poi le mani leggermente riuniscono la pasta di formaggio: il primo sale e il formaggio da stagionatura media, lunga per le vendite e ricotta infine. Ma adesso L’Aquila, la piazza del mercato, i vicoli della stessa piazza, i negozi degli alimentari oggi scomparsi. Da Aragno i contadini portavano “renniccio”, le “moricole” e gli olaci; i “vicioli” da Collebrincioni; da Bagno le patate di montagna il formaggio con le cassette e le cipolle delle Civita, le ciliegie e le pesche (si lavavano alla fontana di piedi piazza) e le ghiande per gli animali. A Bagno Piccolo venivano ritirate le ciliegie da un piccolo grossista e poi in Via Patini, la via dei macellai (Peppone, Giorgio) e infine al mercato si vendevano gli spinaci, la bieta sempre portata da Bagno. A Fossa si barattavano le pesche con il granturco. Il formaggio di Bagno compresi gli agnelli si consegnavano nei negozi di alimentari con la corriera o a piedi, dal paese, negli anni ’60, sempre nel vicolo dei macellai. Il bisnonno di Francesco lungo i sentieri, attraversò la montagna di Bagno in viaggio con una capra – il becco (il maschio) fino a Casamaina, per l’accoppiamento. Gli agnelli, piccoli, appena nati, adesso vagano per la stalla alla ricerca delle mammelle, il latte per nutrirsi. Le pecore quindi vengono spostate sotto gli agnelli, non importa se non riconoscono i figli, gli ovini si prestano ad allattare tutti gli agnelli. E allora si diceva: “Una mamma allatta 100 figli, e 100 figli non campano una mamma…”.